Le telecamere di sorveglianza lo mostravano a volto scoperto, la pistola in mano. Quando venne arrestato non ci poteva credere: "Ma io ero ricoperto di succo!" disse ai poliziotti. Succo di limone. Wheeler si era ricoperto il volto di succo di limone, convinto che questo potesse garantirgli l'invisibilita'. Gli investigatori riferirono che il rapinatore non aveva improvvisato, ma si era preparato accuratamente. "Il succo di limone mi bruciava la faccia e gli occhi, facevo fatica a vedere" avrebbe detto poi ai poliziotti. Nel corso dei preparativi si era persino scattato un selfie con una polaroid, per verificare che il metodo fosse davvero efficace. E nella foto lui effettivamente non c'era - probabilmente l'acidita' gli aveva impedito di prendere bene la mira. McArthur aveva ottenuto la prova che cercava. Il succo di limone funzionava: era diventato completamente invisibile.
David Dunning, professore di psicologia sociale alla Cornell University, lesse la notizia sul World Almanac del 1996, sezione Offbeat News Stories. Lo psicologo penso': se Wheeler era troppo stupido per essere un rapinatore, forse era anche troppo stupido per sapere di essere troppo stupido per essere un rapinatore. "La sua stupidita' gli nascondeva la sua stessa stupidita'" penso' lo psicologo. Dunning si chiese poi se fosse possibile misurare il livello di competenza che ciascuno crede di avere confrontandolo con la reale competenza. Nelle settimane successive organizzo' un progetto di ricerca con un suo laureando, Justin Kruger. Il loro paper Unskilled and Unaware of It: How Difficulties of Recognizing One's Own Incompetence Lead to Inflated Self-assessments venne pubblicato nel 1999 e da allora e' un piccolo classico degli studi sull'ignoranza di se'. Il risultato delle ricerche dei due studiosi e' conosciuto come "effetto Dunning-Kruger".
Di che cosa si tratta? "Quando le persone sono incompetenti nelle strategie che adottano per ottenere successo e soddisfazione, sono schiacciate da un doppio peso: non solo giungono a conclusioni errate e fanno scelte sciagurate, ma la loro stessa incompetenza gli impedisce di rendersene conto. Al contrario, come nel caso di Wheeler loro hanno l'impressione di cavarsela egregiamente", spiega Dunning.
"Le persone pochissimo esperte hanno una scarsa consapevolezza della loro incompetenza. E' l'effetto Dunning Kruger: fanno errori su errori ma tendono a credere di cavarsela.Il piu' delle volte gli ignoranti non sanno di essere ignoranti, suggeriscono Dunning e Kruger. In effetti, se cerchiamo di capire che cosa non sappiamo attraverso l'introspezione potremmo non ottenere nulla. Possiamo continuare a chiederci "Che cosa non so?" fino allo sfinimento, e darci delle risposte, ma non esauriremmo mai il campo infinito della nostra ignoranza. Guardarsi dentro non sempre porta risultati soddisfacenti, l'unico modo per uscire dalla propria metaignoranza e' chiedere agli altri.
Dunning spiega cosi' il fenomeno: per ogni competenza, esistono persone molto esperte, esperte cosi' cosi', poco esperte e pochissimo esperte. L'effetto Dunning Kruger consiste in questo: le persone pochissimo esperte hanno una scarsa consapevolezza della loro incompetenza. Fanno errori su errori ma tendono comunque a credere di cavarsela.
I risultati sono stati raggiunti attraverso una serie di studi su senso dell'umorismo, abilita' grammaticali e logiche, studi in seguito estesi anche ad altri campi. Prendendo in considerazione il 25 per cento del campione cha aveva ottenuto i risultati peggiori in ogni prova, si osservava che in media, in una scala da 1 a 100, i soggetti si davano un punteggio di 62, nonostante la loro valutazione effettiva non superasse i 12 punti. Questo accade perche' in molti campi l'atto di valutare la correttezza della risposta di qualcuno richiede la stessa competenza necessaria a scegliere la risposta esatta. Sembrerebbe dunque che la tendenza alla sopravvalutazione di se' sia inevitabile.
Questo dovrebbe farci riflettere quando parliamo dell'ignoranza nei termini di una malattia dalla quale si puo' guarire: se tutti siamo malati, nessuno lo e'. "La gente vive all'ombra della propria inevitabile ignoranza. Semplicemente non sappiamo tutto di tutto. Ci sono buchi nella nostra conoscenza, lacune nelle nostre competenze" scrive Dunning all'inizio del suo ultimo saggio. Possiamo consolarci pensando che l'ignoranza riguardi ambiti periferici della nostra esperienza, temi oscuri o irrilevanti, comunque privi di implicazioni nella nostra vita quotidiana. E gli economisti sostengono che gran parte dell'ignoranza e' razionale: acquisire determinate competenze potrebbe non portare benefici che giustifichino la fatica fatta per acquisirle. Ma sappiamo anche che non tutta l'ignoranza e' periferica o razionale. Parte della nostra ignoranza, forse la parte piu' importante, e' centrale e misteriosa. La nostra ignoranza riguarda aspetti essenziali: riguarda noi stessi.
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I peggiori si credono i migliori, abbiamo detto. Ma dagli studi di Dunning emerge un dato speculare: anche i migliori sbagliano, in senso opposto. I piu' competenti tendono a sottovalutare le proprie competenze. Arrivano facilmente alle risposte giuste e credono che anche gli altri siano in grado di giungere con altrettanta facilita' allo stesse conclusioni. Di conseguenza, quando si tratta di dare una valutazione su di se', non si collocano nella fascia alta. E' colpa dell'effetto del falso consenso (la tendenza a pensare che gli altri agiscano in modo simile al proprio), ed e' coerente con gli studi sull'attribuzione della conoscenza, i quali mostrano che le persone sovrastimano la quantita' di persone in possesso della loro stessa conoscenza.
"Dagli studi di Dunning emerge un dato speculare: anche i migliori sbagliano, in senso opposto. I piu' competenti tendono a sottovalutare le proprie competenze.Il fenomeno e' anche conosciuto con il nome di "sindrome dell'impostore". Chi soffre di questa sindrome - detta anche "impostorismo" - non direbbe mai esplicitamente "mi sento un impostore", eppure si sente esattamente cosi'. Anche nei casi in cui consegue successi e riconoscimenti, questa persona avverte che il suo successo e' dovuto a qualche colpo di fortuna, a una misteriosa combinazione, oppure a un grande sforzo irripetibile; crede che i suoi risultati siano dovuti solo a un caso e non siano piuttosto il risultato delle sue abilita' o delle sue competenze. La prossima volta falliro' di sicuro, pensa.
L'espressione "sindrome dell'impostore" fu coniata da Suzanne Imes e Pauline Rose Clance alla fine degli anni Settanta, quando le due psicoterapeute della Georgia State University analizzarono il comportamento di un gruppo di donne in ruoli di responsabilita'. Riscontrarono una sensazione diffusa: le intervistate ritenevano di non essere cosi' capaci come gli altri credevano. Confessa Clance:
"Provavo i sentimenti tipici della sindrome dell'impostore all'universita'. Dovevo fare un esame importante e temevo sarebbe andato male. Ricordavo solo le cose che non sapevo e non quelle su cui ero preparata. I miei amici incominciarono a preoccuparsi, cosi' io tenevo i miei dubbi per me stessa. Credevo che le mie insicurezze fossero dovute alla mia istruzione. Quando poi ho incominciato a insegnare ho ascoltato timori simili negli studenti che venivano a chiedere consigli. Avevano note di merito e curriculum eccellenti. Uno di loro mi disse: 'Mi sento un impostore qui, in mezzo a tutta questa gente cosi' brillante'."
La sindrome colpisce soprattutto le donne. La tendenza e' confermata anche dagli studi piu' recenti. Due sociologhe americane, Jessica Collett e Jade Avelis, si sono chieste per esempio come mai cosi' tante donne che intraprendono la carriera universitaria a un certo punto optano per il cosiddetto downshifting, ovvero perche' rinunciano a un posto di alto livello e alle proprie ambizioni. Non accade perche' vogliono "mettere su famiglia", come spesso si pensa. La ricerca, svolta su 460 studentesse di dottorato, ha rivelato che la causa in realta' e' proprio la sindrome dell'impostore. Se rinunciano alla carriera e' perche' credono di non essere all'altezza e di essere arrivate nella loro posizione per una qualche coincidenza, non per merito.
"La sindrome dell'impostore e' frequente soprattutto in contesti in cui la competizione e' alta e in cui ci sono poche figure di ‘mentori' in grado di dare una valutazione realistica.L'impostorismo pero' non e' un'esclusiva del genere femminile. Due psicologhe della Purdue University, Shamala Kumar e Carolyn M. Jagacinski, hanno misurato le reazioni differenti in uomini e donne. Il risultato e' che le donne che si considerano impostori spesso manifestano anche la volonta' di dimostrare che possono impegnarsi e fare meglio degli altri, e quindi competono di piu'. Gli uomini, invece, mostrano il desiderio di evitare competizioni nelle aree in cui si sentono piu' vulnerabili. "Temono di fare una brutta figura, di apparire deboli" dice Jagacinski.
Gli esperti hanno osservato come la sindrome sia frequente soprattutto in contesti in cui la competizione e' alta e in cui, per di piu', ci sono poche figure di "mentori" in grado di dare una valutazione realistica. Proprio per questo le universita' americane spesso affiancano alle studentesse delle docenti che possano esercitare questa funzione di guida. L'effetto pero' non e' sempre quello voluto. Spesso infatti l'impressione di sentirsi un impostore e' acuita dal confronto con i docenti. "Credevo che la mia tutor fosse SuperWoman" ha riferito una studentessa. Secondo molti esperti, l'unica soluzione all'"impostorismo" e' parlare di piu' delle proprie insicurezze. "Quando le persone vedono quelli che rispettano in difficolta' o li ascoltano mentre ammettono di non aver sempre saputo tutto, e' piu' facile per tutti avere un'opinione realistica del proprio lavoro" scrive la Ada Initiative, consorzio a sostegno delle donne nella tecnologia.
In realta', piu' espandiamo il perimetro delle nostre conoscenze piu' saremo esposti a cio' che non sappiamo. Per molte persone la sindrome dell'impostore e' il sintomo naturale dell'acquisizione di competenze. Non e' un caso che questa sindrome colpisca soprattutto chi lavora in ambito scientifico e tecnologico: aree in cui e' difficile falsificare le proprie conoscenze. E una certa dose di insicurezza alle volte potrebbe anche essere salutare. Si puo' soffrire della sindrome dell'impostore in contesti come quelli vissuti da un insegnante alla prima lezione davanti a una vera classe, o alla prima prova di un professionista, un meccanico o un avvocato. Casi in cui questo tipo di insicurezza riflette un rispetto per i limiti delle proprie abilita' - limiti che tutti hanno, anche i cosiddetti "migliori" - e mostra una benefica umilta': solo un vero impostore puo' avere paura di chiedere aiuto.
Antonio Sgobba
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Fonte: Il Paradosso Dell'Ignoranza (di Il Tascabile)
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