25 Settembre 2005
Mentre io mi sto alzando dal letto per andare a prendere le solite paste della Domenica alla pasticceria Continental, piano piano, per non svegliare Paola, quasi in contemporanea, alle 7:35, l'ispettore Solito, della Digos di Ferrara, viene svegliato di soprassalto dal suo cellulare, sul comodino di fianco al letto.
L'ispettore Nicola Solito, quarantacinque anni, moro, stempiato col volto affilato anche da un naso prominente, e' originario di Brindisi, abita con la famiglia a Ferrara da venticinque anni. Anche in ragione del suo lavoro, conosce tutti e sa tutto di tutti come del resto chiunque, in questa piccola citta' di provincia. Ma lui, ovviamente, di piu'.
E' sposato e ha due figli, dei quali Paolo, il piu' grande, ha quattordici anni.
Mentre il telefono squilla, accende l'abat-jour per guardare l'ora. Il display del telefonino dice che e' l'ufficio ed e' Domenica. Domenica?
"Pronto?"
"Scusa l'orario e scusa se ti disturbo di Domenica, so pure che sei di riposo", parla con voce concitata, a tratti titubante, un collega dalla sala operativa, "ma purtroppo questa notte e' successo che una volante ha fermato un ragazzo li' in via Ippodromo... insomma... dopo un po' e'... e'... morto li'. Non riusciamo a identificarlo. Abbiamo provato a rintracciare il tuo dirigente e non l'abbiamo trovato. Potrebbe essere un extra comunitario oppure, da come e' vestito, potrebbe essere uno dei centri sociali. Ha pure un timbro del Link di Bologna sulla mano... tu sei il piu' anziano di tutto l'ufficio... se puoi portarti sul posto perche', visto che sei qui da tanti anni e conosci un po' tutti, se riesci a identificarlo..."
"Va bene."
Fa ancora caldo. L'estate non e' ancora finita e quella si preannuncia come una bella giornata di sole.
Nicola Solito capisce che e' successo qualcosa di grave e di strano.
Se e' morto di notte, perche' non lo hanno chiamato prima? E poi com'e' morto? Si infila in fretta e furia un paio di jeans, una felpa, prende le chiavi della macchina e si precipita fuori di casa dimenticando il cellulare sul comodino.
L'ispettore della Digos imbocca la stretta via Ippodromo dopo circa un quarto d'ora, venti minuti da quella telefonata che, molto probabilmente, gli rovinera' la giornata.
La via e' una stradina che si inserisce tra i complessi condominiali che costeggiano via Bologna, insinuandosi tra case di piccola e media dimensione per un centinaio di metri. Sbocca poi su uno spiazzo davanti a un parchetto con una fila di paracarri a chiuderne l'accesso alle auto, che e' delimitato da un lato dal muro di cinta dell'ippodromo la cui entrata, con tanto di cancello, a sinistra da' proprio sullo spiazzo all'inizio del parco; mentre dall'altro, sulla destra, e' delimitato dalla stradina asfaltata che corre parallelamente a una fila di casette per un altro centinaio di metri abbondante.
Nel parchetto panchine e giochi per bambini. Un'altalena, una giostrina e uno scivolo arrugginiti. Lungo il muro di cinta dell'ippodromo, a causa della scarsa manutenzione, si era sviluppata una fitta macchia di cespugli, rovi e sterpaglie che hanno finito per coprirlo in alcuni punti, pressoche' completamente.
Solito si accorge presto che deve parcheggiare perche' vede la via bloccata, prima dello spiazzo, da un nastro di plastica bianca e rossa con il quale la Polizia ha isolato il "luogo del delitto".
Mentre scende dall'auto nota la presenza di tanti colleghi, alcuni che si aggirano nel parchetto, altri, la maggioranza, fermi proprio nello spiazzo di fronte al cancello dell'ippodromo.
Ci sono numerose volanti e, mentre si avvicina al luogo delimitato dal nastro, vede sorpreso che ci sono pure i Carabinieri.
"Che ci fanno qui i Carabinieri?", pensa tra se' e se', e' prassi che "i cugini dell'Arma" non mettano il naso in fatti o indagini loro cosi' come, per converso, la stessa Polizia ha cura di fare nei confronti dei militari. Salvo casi eccezionali. Si', salvo casi eccezionali.
Mentre sta scostando il nastro, chinandosi e facendoselo passare sopra alla testa, gli viene incontro il vicequestore Sidero e, subito dopo, anche il dirigente dell'UPG-Volanti dott. Marino. Mancano solo il questore, che sa non essere in citta', e il dott. Scroccarello, il capo della Mobile.
In quel momento capisce che forse e' stato troppo ottimista pensando di potersela cavare con un semplice riconoscimento, positivo o negativo che fosse, di pochi minuti.
I volti sono seri. Dietro di loro fermi, quasi immobili, alcuni colleghi delle volanti, quelli delle auto di servizio parcheggiate in malo modo proprio sullo spiazzo. Quelle dell'intervento.
Ma ce ne sono altri, tanti, del turno successivo che vanno e vengono dalle case che si trovano al lato della via, sulla destra e che hanno le finestre sullo spiazzo e su tutta la lunghezza del parchetto.
La scena e' surreale: nonostante la presenza di tante persone regna un silenzio pressoche' assoluto. La maggior parte tace e quelli che parlano lo fanno bisbigliando.
"Nicola vedi se lo conosci che non capiamo chi e'..."
Mentre il vicequestore gli dice quelle parole, Solito nota, con la coda dell'occhio, il corpo di un uomo, steso e immobile, in completa solitudine dietro le spalle di Sidero sulla sinistra verso il cancello d'entrata dell'ippodromo. Solito si avvicina al cadavere dopo che il superiore si e' fatto da parte.
Un ragazzo robusto, alto, con una folta capigliatura che si vede anche da lontano. E' steso, supino, a braccia e gambe parzialmente aperte. Piu' le braccia delle gambe.
Ha perso una scarpa da ginnastica, e' sull'asfalto poco distante - "evidentemente nella colluttazione" -, e indossa jeans scuri, una felpa pure scura arrotolata in su, insieme a una camicia piu' chiara, che gli lascia scoperta la pancia. Ha la testa rivolta appena verso il cancello, nella direzione opposta rispetto alla sua.
Mentre cammina verso il cadavere, all'ispettore Cervi della Squadra Mobile squilla a lungo il cellulare. Non lo aveva visto prima e si gira a guardarlo per un attimo. Lo vede con il cellulare in mano: Cervi non risponde ma guarda perplesso il display. Il telefono continua a squillare.
Non ha trent'anni il morto come gli hanno detto, sembra piu' giovane, pensa Solito mentre continua ad avvicinarsi. A un certo punto rallenta perche' quel corpo non gli e' nuovo, gli ricorda qualcuno. Inizia a distinguerne meglio il profilo. La sua capigliatura gli e' assolutamente famigliare cosi' come iniziano a esserlo i suoi vestiti.
Il cuore inizia a battergli forte e l'attenzione e' tutta per quel volto che gli appartiene sempre di piu' ma al quale ancora non gli riesce a dare un nome. Non sa ancora chi e' e non vorrebbe saperlo. Non vuole. Non vede il sangue sull'asfalto, non vede altro se non quel profilo. Lentamente si avvicina fino ad arrivare a sovrastarlo. Lo guarda dall'alto. Il volto di Solito in piedi, fermo, ora e' sopra quello del morto.
"Federico... Federico...", mormora appena a labbra chiuse.
Federico, il fratello di Stefano, il migliore amico di suo figlio Paolo. Quel Federico che ha visto crescere e che solo poche sere prima e' stato a cena a casa sua.
Il cellulare di Cervi, il collega della Mobile che si trova in quel momento a una decina di metri da lui, riprende a squillare....
"Ma volete rispondere!", sbotta qualcuno. Cervi risponde e inizia a fare una serie di domande all'interlocutore: "...Com'e' vestito?... Quanti anni ha?... Pantaloni?... Si abbiamo trovato il suo cellulare... Polizia... le faremo sapere...". Cervi chiude bruscamente la conversazione e, rivolgendosi subito al vicequestore Sidero, che si era avvicinato pure lui al corpo e a Nicola Solito, dice ad alta voce: "Forse sono riuscito a identificarlo... era il padre, e' italiano, si chiama Aldrovandi".
"...Federico", aggiunge Solito a bassa voce.
Federico Aldrovandi, figlio di Patrizia e Lino, i suoi migliori, se non unici, amici.
"Lo conosci Nicola?", interviene subito Sidero cui non e' sfuggito quel nome uscire dalla bocca di Solito, "lo conosci?... Nicola...? NICO!"
Ma Solito non risponde. Agghiacciato. Immobile, pallido, con lo sguardo fisso nel vuoto ma in direzione di quel volto senza vita. Mentre il suo superiore inizia a scuoterlo prendendolo per un braccio, a Nicola scorrono davanti le immagini di quel ragazzo a cena a casa sua con il fratello e i genitori. Le immagini di quando, da piccolo, gli portava a riparare la bicicletta che aveva rotto per fare le impennate chiedendo di non dirlo al padre. E soprattutto i volti di Patrizia e Lino quando sapranno...
Ha un mancamento e si appoggia alla volante che si trova proprio li', per non cadere.
"Noooo!", urla subito il collega Tremamunno della Scientifica, "non la devi toccare quell'auto!"
Solito si scuote e in quel momento nota due agenti che consegnano al dott. Marino un plico di verbali.
E' appena arrivato e il tempo si ferma per lui. Nella sua mente si accavallano in modo disordinato pensieri su quel che deve fare li' come ispettore della Digos, ed emozioni violentissime per il dramma del quale e' parte e dal quale non puo', non riesce, non vuole astrarsi come dovrebbe.
Vede solo colleghi e superiori intorno a se'. Non c'e' il medico legale e neppure il magistrato come dovrebbe essere.
Quel corpo, solo, abbandonato sull'asfalto e apparentemente ignorato da tutti, non riesce a sopportarlo. Non sa da quanto tempo sia li', minuti, ore probabilmente.
"Ma e' stato chiamato il magistrato?", chiede con voce bassa al vicequestore Sidero che, per tutta risposta, gli fa spallucce senza dire nulla.
"Ma perche' non lo coprite? Ma si puo' lasciare un ragazzo cosi'!?, Copritelo cazzo!" Questa volta la voce di Solito e' alta, stridula, alterata dalla rabbia, rotta per il dolore.
Un pensiero lo fulmina: "Se al telefono con Cervi era Lino, allora Patrizia chiamera' subito casa mia! Devo subito telefonare a casa, spiegare a mia moglie di non dire nulla". La moglie di Nicola sa che e' uscito per un morto.
Solito cerca il telefonino ma lo ha dimenticato a casa nella fretta di uscire. Se ne fa prestare uno dai colleghi. Ha poco tempo, deve fare assolutamente presto. Patrizia e Lino non possono saperlo cosi'.
"Qualcuno dovra' pure andare a dirglielo di persona... Qualcuno... non io pero'. Non io!"
Mentre pensa tutto questo, in realta' Solito sa benissimo che tocchera' a lui. Che deve essere lui a informare i suoi amici che il figlio piu' grande non c'e' piu', che e' morto durante un fermo operato dai suoi colleghi.
Ferrara, 2/1/2006
Scrivo la storia di quel che e' successo a Federico, mio figlio.
Non scrivero' tutto di lui, non si puo' raccontare una vita, anche se di soli 18 anni appena compiuti.
E' morto il 25 Settembre, il giorno di Natale sono stati tre mesi... Ho sempre pensato che sopravvivere a un figlio fosse un dolore insostenibile. Ora mi rendo conto che in realta' non si sopravvive. Non lo dico in senso figurato. E' proprio cosi'. Una parte di me non ha piu' respiro. Non ha piu' luce, futuro...
Perche' il respiro, la luce e il futuro sono stati tolti a lui.
Sabato 24 Settembre e' stato un giorno sereno, allegro...
Dopo la scuola il pranzo insieme, chiacchiere, risate. Era ancora estate, faceva caldo. Ha portato a spasso il suo amico cane. Non lo faceva spesso, ma quel giorno e' andato con la musica in cuffia. Tutto in quel giorno aveva un'aura speciale.
Pensandoci ora e' come se avesse voluto salutare tutti noi. Ha avuto sorrisi per tutti... la gioia era lui.
Ha incontrato la compagnia, ha fatto il suo lavoretto di consegna pizza.
Il programma della sera prevedeva un concerto a Bologna. Prima di partire e' passato da casa per cambiarsi le scarpe, rotte giocando a pallone...
E' stata l'ultima volta che l'ho visto vivo.
Ha salutato tutti, compreso il fratello che dormiva gia', chiedendomi perche' Stefano non avesse risposto al suo saluto.
Anche una sua amica mi ha confermato che quella sera era sereno, che l'ha salutata sorridente con la solita pacca sulla spalla e l'appuntamento al giorno dopo...
Non e' mai esistito il giorno dopo.
Al Link il concerto era stato annullato. Quindi la serata e' trascorsa li' dentro.
L'hanno detto i compagni che erano con lui, non posso definirli amici, e le analisi lo hanno confermato. Uno dei ragazzi gli ha venduto una sostanza, una pasticca o simili.
Lo definiscono lo sballo del Sabato sera. E' sbagliato si'. Ma non si muore di questo...
Federico lo sapeva bene. Era stato partecipe di un progetto scolastico di ricerca e informazione promosso dalla Provincia. So che la sua era una conoscenza approfondita con ricerche sui siti delle Asl, conosceva le sostanze e gli effetti. Ed era a suo modo un igienista. Aveva grande cura del suo corpo, di quel che mangiava. Era uno sportivo. Un ragazzo splendido pieno di salute. E di progetti: pensava alla musica, al suo futuro, lo studio serviva a costruire il futuro.
Nell'immediato c'erano le cose semplici: la patente dopo pochi giorni, il karate, una band musicale da organizzare con gli amici, e la vita di tutti i giorni cercando di stare bene...
Trascorsa la serata il gruppo era rientrato a Ferrara, tornati al punto di incontro dove i piu' avevano lasciato le macchine o i motorini.
Federico era a piedi. Era partito da casa in macchina con Michy, che poi non era andato a Bologna.
Erano ormai le cinque del mattino. I ragazzi hanno raccontato che gli hanno offerto un passaggio ma Federico non aveva voglia di rientrare subito. Sarebbe tornato a piedi. Era vicino a casa...
Dal suo cellulare si vede che ha chiamato diversi altri amici. Specialmente i suoi migliori amici, un paio di volte ciascuno. Forse per chiedergli se erano ancora fuori... sembra che nessuno gli abbia risposto. I ragazzi che conosco mi hanno detto che avevano gia' spento il cellulare per dormire.
E poi non so cosa sia successo esattamente. A quell'ora mi sono svegliata, forse non del tutto, chiedendomi se Federico fosse rientrato. Avevo una stanchezza invincibile, non riuscivo a muovermi. Poi ho sentito un rumore nella sua stanza ed ero sicura che fosse li'...
Mi sono risvegliata che erano quasi le otto.
Ho cominciato a chiamarlo e a inviare messaggi. Nulla...
Non era possibile che non rispondesse. Se tardava mi avvisava sempre. Diceva che lo stressavo ma non voleva farmi stare in pensiero. Mi aggrappavo all'idea che avesse solo perso il cellulare... Poi l'ha chiamato anche suo padre. Sul cellulare di Federico il padre e' memorizzato col solo nome, Lino.
Una voce ha risposto.
Ha imperiosamente chiesto chi fosse al telefono, ed ha chiesto di descrivere Federico.
Poi si e' qualificato come agente di Polizia, ed alle nostre domande ha risposto che avevano trovato il cellulare su una panchina dalle parti dell'ippodromo e che stavano facendo accertamenti. Ed ha riattaccato.
Immediatamente ho cercato in Questura, e ho cercato anche ripetutamente un amico che ci lavora.
Nulla.
Il centralinista rispondeva: c'e' il cambio di turno... non sono informato..., appena avremo notizie chiameremo noi...
Niente per altre tre ore!!!! Passate nell'angoscia e nelle telefonate frenetiche agli ospedali, ai suoi amici e di nuovo ripetutamente alla Questura.
Nel frattempo Stefano e' accorso in bicicletta alla ricerca del fratello. Ringrazio il cielo che non sia andato nel posto giusto.
La Polizia e' venuta ad avvisarci solo verso le 11. Dopo che lo avevano portato via.
Il suo corpo e' rimasto sulla strada dalle 6 alle 11.
E non mi hanno chiamata. Era mio figlio. Nessuno ha il diritto di tenere una mamma lontana da suo figlio!
E mi hanno detto che lo hanno fatto per me... perche' era meglio che non vedessi.
In quel momento gli ho creduto.
La Polizia ha detto che un abitante della zona aveva chiamato perche' sentiva delle urla.
Dicevano anche che si era ferito sbattendo da solo la testa contro i muri.
Questo si e' rivelato falso. Smentito dalle verifiche. Federico era sfigurato dalle percosse.
Molto tempo dopo ho riavuto i suoi abiti. Portava una maglietta, una felpa col cappuccio e il giubbotto jeans. Sono completamente imbevuti di sangue.
Hanno detto che non voleva farsi prendere. Che ha lottato ed e' salito anche in piedi sulla macchina della Polizia. I medici hanno riferito che aveva lo scroto schiacciato, una ferita lacero-contusa alla testa e numerosi segni di percosse in tutto il corpo. Ho potuto vedere solo quella sul viso, dalla tempia sinistra all'occhio e giu' fino allo zigomo, e i segni neri delle manette ai polsi. L'ho visto nella bara. Il suo corpo non sembrava piu' allineato e simmetrico. Il mio bambino era perfetto, e stupendo. L'hanno distrutto...
E la Polizia mi raccontava che era drogato. Che si era fatto male da solo. Che tutto questo era successo perche' era un povero tossico e noi sfortunati...
Lo vogliono uccidere due volte. Le analisi hanno confermato che quel che aveva preso era irrilevante. Non certo causa di morte ne' di comportamenti aggressivi. Semmai il contrario.
Quel che penso e' che Federico fosse terrorizzato in quel momento. Gli stava crollando il mondo addosso. La vergogna di essere fermato dalla Polizia, la patente allontanata perche' aveva preso una pasticca. E aveva dimenticato la carta di identita'. Quella mattina nel vicinato dicevano che era morto un albanese. Nessuno si preoccupava piu' di tanto...
Ha certo cercato di scappare. Di non farsi prendere. Visto com'era ridotto si capisce come lo abbiano fermato. Quando lo hanno immobilizzato, ammanettato a pancia in giu' non ha piu' avuto la forza di respirare.
Chissa' quando se ne sono accorti?
L'ambulanza e' stata chiamata quando ormai non c'era piu' niente da fare. E nemmeno allora lo hanno portato all'ospedale per provare un intervento estremo. Lo hanno lasciato li' sulla strada. Cinque ore. Poi lo hanno portato all'obitorio. E solo allora sono venuti ad avvisarci.
Perche'?
Se fosse vero che dava in escandescenze da solo perche' non e' stata chiamata subito l'ambulanza?
Perche' atterrarlo in modo tanto violento e cruento? Era solo. Non c'era nessuno. Era disarmato. Non era una minaccia per nessuno.
Perche' aspettare tanto prima di avvisare la famiglia? Chiaro. Per non farcelo vedere...
Se lo avessimo visto cosi' cosa sarebbe successo? Che risonanza avrebbe avuto?
Sul giornale del giorno dopo un articolo che dichiarava che era morto per un malore... tratto dal mattinale della Questura.
Il giorno dopo sull'altra testata cittadina Federico sfigurato. Immediate controdeduzioni del Capo Procura: "Non e' morto per le percosse"... questa e' stata la prima ammissione di quanto successo.
Ad oggi ancora non sono stati depositati ufficialmente gli esiti degli esami medici. Sono emersi solo alcuni dettagli che ho citato prima.
Quel che non mi da' pace e' il pensiero del terrore e del dolore che ha vissuto Federico nei suoi ultimi minuti di vita. Non ha mai fatto male a nessuno. Credeva nell'amicizia che dava a piene mani. Era un semplice ragazzo come tanti. Come tutti i ragazzi di quell'eta' si credeva grande ma dentro non lo era ancora. Aveva tutte le possibilita' di una vita davanti, e una gran voglia di viverla...
Patrizia Aldrovandi
.NOTE.
Il libro "Federico", di Fabio Anselmo, e' edito da Fandango e puo' essere acquistato da qui.
.LINKS.
Fonte: La Morte Di Federico Aldrovandi (di Yanez)
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