Non ne ho mai conosciuti. Io, che non sono ne' ricco ne' proprietario, non avevo che queste braccia e un cervello per assicurare la mia conservazione, per cui ho dovuto comportarmi diversamente. La societa' non mi accordava che tre mezzi di esistenza: il lavoro. la mendicita' e il furto. Il lavoro, al contrario di ripugnarmi, mi piace. L’uomo non puo' fare a meno di lavorare: i suoi muscoli, il suo cervello, possiedono un insieme di energie che deve smaltire.
Cio' che mi ripugnava era di sudare sangue e acqua per un salario, cioe' di creare ricchezze dalle quali sarei stato sfruttato. In una parola, mi ripugnava di consegnarmi alla prostituzione del lavoro. La mendicita' e' l’avvilimento, la negazione di ogni dignita'. Ogni uomo ha il diritto di godere della vita. "Il diritto di vivere non si mendica, si prende".
Il furto e' la restituzione, la ripresa di possesso. Piuttosto di essere chiuso in un’officina come in una prigione, piuttosto di mendicare cio' a cui avevo diritto, ho preferito insorgere e combattere faccia a faccia i miei nemici, facendo la guerra ai ricchi e attaccando i loro beni. Comprendo che avreste preferito che mi fossi sottomesso alle vostre leggi, che operaio docile avessi creato ricchezze in cambio di un salario miserabile, e che, il corpo sfruttato e il cervello abbrutito, mi fossi lasciato crepare all’angolo di una strada. In quel caso non mi avreste chiamato "bandito cinico", ma "onesto operaio". Adulandomi mi avreste dato la medaglia al lavoro. I preti promettono un paradiso ai loro fedeli, voi siete meno astratti, promettete loro un pezzo di carta.
Vi ringrazio molto di tanta bonta', di tanta gratitudine. Signori! Preferisco essere un cinico cosciente dei suoi diritti che un automa, una cariatide.
Dal momento in cui ebbi possesso della mia coscienza, mi sono dato al furto senza alcuno scrupolo. Non accetto la vostra pretesa morale che impone il rispetto della proprieta' come una virtu', quando i peggiori ladri sono i proprietari stessi.
Ritenetevi fortunati che questo pregiudizio ha preso forza nel popolo, in quanto e' proprio esso il vostro migliore gendarme. Conoscendo l’impotenza della legge, o per meglio dire, della forza, ne avete fatto il piu' solido dei vostri protettori. Ma, state accorti, ogni cosa finisce. Tutto cio' che e' costruito dalla forza e dall’astuzia, l’astuzia e la forza possono demolirlo.
Il popolo si evolve continuamente. Istruiti in queste verita', coscienti dei loro diritti, tutti i morti di fame, tutti gli sfruttati, in una parola tutte le vostre vittime, si armeranno di un "piede di porco" assalendo le vostre case per riprendere le ricchezze che essi hanno creato e che voi avete rubato. Riflettendo bene, preferiranno correre ogni rischio invece d’ingrassarvi gemendo nella miseria. La prigione... i lavori forzati, il patibolo... non sono prospettive troppo paurose di fronte ad una intera vita di abbrutimento, piena di ogni tipo di sofferenze. Il ragazzo che lotta per un pezzo di pane nelle viscere della terra senza mai vedere brillare il sole, puo' morire da un momento all’altro, vittima di una esplosione di grisou. Il muratore che lavora sui tetti, puo' cadere e ridursi in briciole. Il marinaio conosce il giorno della sua partenza ignora quando fara' ritorno. Numerosi altri operai contraggono malattie fatali nell’esercizio del loro mestiere, si sfibrano, s’avvelenano, si uccidono nel creare tutto per voi. Fino ai gendarmi, ai poliziotti, alle guardie del corpo, che, per un osso che gettate loro, trovano spesso la morte nella lotta contro i vostri nemici.
Chiusi nel vostro egoismo, restate scettici davanti a questa visione, non e' vero? Il popolo ha paura, voi dite. Noi lo governiamo con il terrore della repressione; se grida, lo gettiamo in prigione; se brontola, lo deportiamo, se si agita lo ghigliottiniamo. Cattivo calcolo, Signori, credetemi. Le pene che infliggete non sono un rimedio contro gli atti della rivolta. La repressione invece di essere un rimedio, un palliativo, non fa altro che aggravare il male.
Le misure coercitive non possono che seminare l’odio e la vendetta. e' un ciclo fatale. Del resto, fin da quando avete cominciato a tagliare teste, a popolare le prigioni e i penitenziari, avete forse impedito all’odio di manifestarsi? Rispondete! I fatti dimostrano la vostra impotenza. Per quanto mi riguarda sapevo esattamente che la mia condotta non poteva avere altra conclusione che il penitenziario o la ghigliottina, eppure, come vedete, non e' questo che mi ha impedito di agire. Se mi sono dato al furto non e' per guadagno o per amore del denaro, ma per una questione di principio, di diritto. Preferisco conservare la mia liberta', la mia indipendenza, la mia dignita' di uomo, invece di farmi l’artefice della fortuna del mio padrone. In termini piu' crudi, senza eufemismi, preferisco essere ladro che essere derubato.
Certo anch’io condanno il fatto che un uomo s’impadronisca violentemente e con l’astuzia del furto dell’altrui lavoro. "Ma e' proprio per questo che ho fatto guerra ai ricchi, ladri dei beni dei poveri". Anch’io sarei felice di vivere in una societa' dove ogni furto sarebbe impossibile. Non approvo il furto, e l’ho impiegato soltanto come mezzo di rivolta per combattere il piu' iniquo di tutti i furti: la proprieta' individuale.
Per eliminare un effetto, bisogna, preventivamente, distruggere la causa. Se esiste il furto e' perche' "tutto" appartiene solamente a "qualcuno".
"La lotta scomparira' solo quando gli uomini metteranno in comune gioie e pene, lavori e ricchezze, quando tutto apparterra' a tutti".
Anarchico rivoluzionario, ho fatto la mia rivoluzione, l’anarchia verra'!
8 Marzo 1905

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Fonte: Dichiarazione Davanti Ai Giudici (Alexandre Marius Jacob)
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