Vogliamo sottolineare inoltre che e' difficile inquadrare questi episodi in uno schema storico preciso, per il semplice motivo che tale storia non e' mai stata scritta. Siamo certi comunque che scavando accuratamente nel passato, ricercando documenti e pubblicazioni dell'epoca raccogliendo altre preziose testimonianze di chi allora visse e combatte' contro il fascismo, sarebbe possibile riportare alla luce altri episodi di lotta, altre figure di compagni. Il nostro scopo e' semplicemente quello di contribuire a rompere quel "muro del silenzio" che circonda la partecipazione degli anarchici a quella lotta antifascista che la falsa retorica della Repubblica Conciliare vorrebbe attribuire solo alle forze rappresentate in Parlamento.

Nel '20 gli anarchici in Italia erano una forza rivoluzionaria con cui si dovevano fare i conti, una forza con cui dovevano fare i conti padroni, governo e fascisti. Essi avevano un quotidiano, Umanita' Nova, che tirava cinquantamila copie e numerosi periodici. L'U.S.I., il sindacato rivoluzionario influenzato dagli anarchici (segretario ne era l'anarchico Armando Borghi), contava centinaia di migliaia di iscritti.
Dopo il fallimento dell'occupazione delle fabbriche, gli anarchici riconoscendo nel fascismo la "contro-rivoluzione preventiva" (come la defini' bene Luigi Fabbri) con cui i padroni avrebbero cercato di impedire il ripetersi di una situazione pre-rivoluzionaria, gettarono tutte le loro energie nella mischia contro il giovane ma gia' robusto figlio bastardo del capitalismo. La volonta' ed il coraggio degli anarchici non potevano pero' bastare di fronte allo squadrismo, potentemente dotato di mezzi e di armi e spalleggiato dagli organi repressivi dello stato. Tanto piu' che anarchici ed anarcosindacalisti erano presenti in modo determinante solo in alcune localita' ed in alcuni settori produttivi. Soltanto una analoga scelta di scontro frontale da parte del Partito Socialista e della Confederazione Generale del Lavoro avrebbe potuto fermare il fascismo.

Il disfattismo riformista

Purtroppo la politica disfattista, capitolarda del Partito e del sindacato riformisti, che gia' aveva ostacolato lo sviluppo rivoluzionario e dunque contribuito al fallimento dell'occupazione delle fabbriche, semino' confusione ed incertezza nel movimento operaio in un momento che gia' era per molti aspetti di riflusso delle lotte. E questo proprio di fronte al moltiplicarsi ed aggravarsi delle violenze fasciste, soprattutto dopo il '21.
Ovunque in Italia le squadracce di Mussolini assaltavano le sedi politiche, le redazioni, i militanti piu' attivi, tutto quanto "puzzasse" di "sovversivo". Lo stato liberale fu diretto complice sia delle attivita' criminali sia dell'intera strategia politica del fascismo nella comune lotta contro la combattivita' dei lavoratori.
Pur essendo essi stessi vittime delle violenze squadriste, i socialisti si limitarono a denunciare le "illegalita'" fasciste, senza dedicare tutte le loro energie alla lotta popolare rivoluzionaria contro il terrorismo padronale. Non solo, ma il PSI giunse al punto di stipulare con i fascisti un Patto di Pacificazione (Agosto 1921) che contribui' a disarmare Il movimento operaio sia psicologicamente sia materialmente, nel momento stesso in cui si intensificavano le violenze squadriste (che continuarono a crescere... in barba al patto!).
Quello che ci interessa sottolineare e' che, mentre i vertici politici sindacali invitavano alla "calma" e alla non violenza, furono gli stessi lavoratori, organizzatisi autonomamente, a dare alcune storiche lezioni ai fascisti. Le insurrezioni di Sarzana (Luglio '21) e di Parma (Agosto '22) sono due esempi della validita' della linea politica sostenuta dagli anarchici, allora, sulla stampa e nelle lotte: contro il disfattismo delle burocrazie riformiste, gli anarchici sostenevano infatti l'urgente necessita' di battere con la lotta il movimento fascista, stimolando la combattivita' dei lavoratori. Coerentemente con questo programma gli anarchici si batterono sino in fondo senza quei tentennamenti e quella ricerca di compromessi che caratterizzarono l'attivita' dei socialisti. Significativa al riguardo la differente posizione assunta da socialisti e comunisti da una parte ed anarchici dall'altra, di fronte al movimento degli Arditi del Popolo.

Gli arditi del popolo

Questo movimento, sorto nel 1920 per iniziativa di elementi eterogenei, si sviluppo' rapidamente assumendo caratteristiche marcatamente antifasciste ed antiborghesi, e fu caratterizzato da un marcato decentramento autonomo delle organizzazioni locali. Gli Arditi del Popolo assunsero quindi colorazioni politiche talvolta differenti da un posto all'altro, ma sempre li accomuno' la coscienza della necessita' di organizzare il popolo per resistere violentemente alla violenza delle camicie nere. Gli anarchici aderirono entusiasticamente alle formazioni degli Arditi e spesso ne furono i promotori individualmente o collettivamente; per restare ai due episodi gia' accennati basti pensare che in maggioranza anarchici furono i difensori di Sarzana e che a Parma, fra le famose barricate erette per resistere agli assalti delle squadracce di Balbo e Farinacci, ve n'era una tenuta dagli anarchici.
Completamente diverso fu l'atteggiamento sia dei socialisti sia dei comunisti (questi ultimi costituitisi in partito nel Gennaio 1921). Nonostante la vasta e spontanea adesione di molti loro militanti agli Arditi del Popolo, entrambe le burocrazie partitiche presero le distanze e cercarono di sabotare lo sviluppo di quel movimento. Gli organi centrali del neonato P.C.I. giunsero al punto di imporre ai propri iscritti di evitare qualsiasi contatto con gli Arditi, contro i quali fu imbastita anche una campagna di stampa a base di falsita' e di calunnie. Intervistato pochi mesi fa alla televisione il comunista Umberto Teraccini ha cercato ancora di giustificare quella scelta politica. E ancora oggi noi, come gia' cinquant'anni fa i nostri compagni, vediamo proprio in quella scelta un esempio tipico della volonta' comunista di subordinare la lotta antifascista alla coincidenza con le proprie mire di egemonia sul movimento operaio. E' evidente che questa dura critica alla politica dei vertici dei partiti di sinistra di fronte alle violenze fasciste non coinvolge i militanti di base, che - anche se su posizioni da noi molto differenti - dettero il loro contributo di lotta e di sangue alla lotta contro il fascismo.
Il disfattismo social-riformista ed il settarismo comunista resero impossibile una opposizione armata generalizzata e percio' efficace al fascismo ed i singoli episodi di resistenza popolare non poterono unificarsi in una strategia vincente.

Il confino e l'esilio

Gli anarchici che, in prima fila nella resistenza al fascismo, s'erano esposti generosamente senza calcoli personali o di partito, subirono piu' duramente degli altri antifascisti (in proporzione alle forze) le violenze squadriste prima e quelle legali poi. All'incendio delle sedi anarchiche e delle sezioni U.S.I., alle devastazioni di tipografie e redazioni, agli ammazzamenti, seguirono i sequestri, gli arresti, il confino.... Ai superstiti, perseguitati, disoccupati, provocati, spiati, non restava che la via dell'esilio. Si puo' dire che nel ventennio fascista ben pochi militanti anarchici (esclusi gli incarcerati ed i confinati) rimasero in Italia e quei pochi guardati a vista ed impossibilitati per lo piu' anche a svolgere attivita' clandestina.
Continuano singoli episodi di ribellione a testimoniare, nonostante tutto, l'indomabilita' dello spirito libertario. Bastano alcuni esempi.
Il 21 Ottobre 1928, l'anarchico Pasquale Bulzamini, a Viareggio, mentre rincasa, viene aggredito da un gruppo di fascisti e ferocemente bastonato. In un caffe', aveva poco prima deplorato la fucilazione dell'antifascista Della Maggiora. Muore tre giorni dopo, all'ospedale.
Il 7 Ottobre 1930, il compagno Giovanni Covolcoli spara contro il Podesta' e il segretario del suo paese - Villasanta (Milano) - che lo hanno a lungo perseguitato fino a farlo internare nel manicomio. Riconosciuto sano di mente e rilasciato in liberta', ha voluto vendicarsi contro i suoi tenaci persecutori.
Nell'Aprile del 1931, a La Spezia, il giovane anarchico Doro Raspolini spara alcuni colpi di rivoltella contro l'industriale fascista De Biasi per vendicarsi contro uno dei maggiori responsabili dell'assassinio di suo padre, Dante, attivo anarchico, massacrato nel 1921 a Sarzana colpito da innumerevoli revolverate e da 21 colpi di pugnale e quindi - legato ancor prima che morisse ad un'automobile - era stato cosi' trascinato per diversi chilometri. Doro Raspolini muore nelle carceri di Sarzana in conseguenza delle sofferenze e torture inflittegli dai fascisti.
Il 16 Aprile 1931, i compagni Schicchi, Renda e Gramignano vengono condannati dal Tribunale Speciale, a Roma, rispettivamente ad anni 10, 8 e 6 di reclusione. Erano imputati di essere rientrati dall'estero per svolgere attivita' contro il fascismo.

La resistenza

Il '43 vede dunque gli anarchici della generazione pre-fascista sparsi tra esilio, confino e galere. Poche tracce sono rimaste dell'influenza anarchica ed anarco-sindacalista. I pochi militanti liberi dapprima e gli ex confinati poi riprendono con immutato vigore i loro posti di combattimento, chi nella lotta armata, chi nell'organizzazione della resistenza operaia, chi nella propaganda clandestina al nord e semi-clandestina al sud, nelle zone "liberate" (si fa per dire), dove gli alleati non concedono la liberta' di stampa agli anarchici, preoccupati (giustamente dal loro punto di vista) che la lotta antitedesca ed antifascista potesse diventare rivoluzione sociale.
Per quanto riguarda la partecipazione degli anarchici alla lotta armata partigiana, essa avvenne per lo piu' all'interno di formazioni politicamente miste. Solo in quelle poche localita' in cui la presenza di anarchici e simpatizzanti era nonostante tutto sufficientemente numerosa, i compagni organizzarono formazioni proprie, inquadrate pero' anch'esse, spesso a seconda della situazione locale, nelle divisioni Garibaldi (controllate dai comunisti), Matteotti (socialisti) e Giustizia e Liberta' (espressione dei "liberal-socialisti" del Partito d'Azione).
La mancata autonomia (che quasi sempre, dati i rapporti di forza, significo' dipendenza) dalle formazioni partigiane partitiche fu dovuta non solo alla quasi generale esiguita' numerica del superstite movimento anarchico, ma anche al fatto che gli alleati si rifiutavano (sempre giustamente, dal loro punto di vista) di rifornire di armi e munizioni le formazioni anarchiche. In questo contesto il valore e spesso l'estremo sacrificio di tanti anarchici furono sfruttati da altre forze politiche e poterono cosi' servire ben poco alla radicalizzazione rivoluzionaria del movimento partigiano. Scarsa risulto' in definitiva l'influenza politica anarchica nella Resistenza, che venne incanalata dai partigiani ufficiali (dai liberali ai comunisti) verso quella squallida restaurazione "democratica borghese" che e' ancor oggi sotto i nostri occhi.

Gli attentati a Mussolini

La lotta al fascismo, come abbiamo visto, si risolveva molte volte in azioni individuali, azioni pagate con la vita.
Ricordiamo qui brevemente i tre nostri eroici compagni: Gino Lucetti, Angelo Sbardellotto e Michele Schirru. Essi tentarono la via individuale per giustiziare quel maiale di Mussolini, ma sfortunatamente non ci riuscirono.
Il primo tentativo (1926) non riusci' proprio per sfortuna (la bomba di Lucetti fini' oltre la macchina del boia); Lucetti fu processato con i complici (anch'essi anarchici) Stefano Vatteroni e Leonardo Sorio: Lucetti fu condannato a trent'anni, gli altri a sette e sedici anni. Gli altri due tentativi purtroppo non ebbero nemmeno esecuzione pratica per l'arresto preventivo sia di Schirru (1931) che di Sbardellotto (1932). Questi ultimi due dopo un processo sommario furono entrambi fucilati.
La sorte di Lucetti fu anch'essa tragica: liberato nel 1943, dopo la caduta del fascismo, mori' sotto un bombardamento appena uscito dal carcere! Particolarmente significativo il "Testamento" di Michele Schirru, in cui l'anarchico sardo racconta la sua maturazione politica e spiega le ragioni di ordine morale e politico che l'hanno convinto della necessita' di eliminare il "duce".

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Fonte: Gli Anarchici Contro Il Fascismo (di A Rivista Anarchica)
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