Anche Roberto Procelli e' a Bologna. Viene da San Leo di Anghiari, Arezzo. E' partito soldato. 121 Battaglione di artiglieria a Bologna. Ora si trova li', sotto la pensilina, ad aspettare il suo treno di ritorno. Si mette sotto il vecchio orologio della stazione. Lancette che segnano il tempo, e treni in arrivo, e nuove partenze.

Lo puo' vedere quel fiume di gente, di treni in transito che si intersecano lungo binari affollati, di grida di venditori di panini e bibite. Del resto e' il 2 agosto e un Paese vuole andare al mare.

Le carrozze sono stipate fino all'inverosimile. C'e' chi entra dalle porte. Enormi valige passano dentro a pochi centimetri di finestrini aperti. Una ressa. In biglietteria c'e' una coda che non si vedeva da tempo, tutti spingono, i posti sono pochi, chi ha prenotato, chi non avra' mai un biglietto quel giorno.

I bambini non conoscono le regole degli adulti. Figuriamoci in una stazione d'agosto, in mezzo a quel chiasso e' come sentirli. Scappano, si nascondono poi si riprendono e si rincorrono. Una danza che puo' andare avanti fino all'infinito. "Dai.....non mi prendi....non sai correre". I genitori non riescono proprio a tranquillizzarli. Ci sono i fratelli danesi Eckhardt, 14 anni e Kai Mader, 8 anni, un bambinone dalla faccia tonda. Margherete Mader, 39 anni, e' la loro madre. I bambini corrono....corrono....senza sosta.

Nella sala entra un uomo con una borsa-valigia in mano, di quelle con la cerniera e piedini metallici. Si guarda intorno, tutti parlano, fumano, leggono. Non badano a quello che accade. Non prestano granche' attenzione. Nessuno lo vede, nessuno lo scorge tra tanti volti. Un sospetto, una circostanza, una testimonianza. Niente. L'uomo piazza la valigia sul tavolino portabagagli, a cinquanta centimetri dal suolo, accanto al muro portante della sala, il timer e' gia' azionato, puntato su dei numeri, 10.25.

Dieci minuti. Poi la strage. Venti, venticinque chilogrammi di esplosivo gelatinato Compound B, di tipo militare, compresso in una valigia, di aspetto normale. 10,25. Un vento forte spazza via ogni cosa, un tornado violento, piu' forte di un terremoto, qualcosa che ha il sapore della morte e di cose bruciate, di vecchi boati, e urla, e grida, polvere, fumo, odore di braccia. Una sala d'aspetto di seconda classe si e' sbriciolata come fanno quei castelli di sabbia quando c'e' l'alta marea, e' entrata in quella di prima classe e ha travolto ogni cosa.

Centinaia di metri cubi di terra, travi lunghe duecento metri, pensiline in acciaio, traversine, sassi, binari troncati di netto, frammenti di rotaie, enormi blocchi di cemento armato ridotti a minuscoli pezzetti, con dentro uomini, donne, bambini, ragazzi, anziani, due carrozze del treno straordinario 13534 Ancona-Basilea, il ristorante Cigar, e ancora speranze, discorsi, progetti, sogni di una vacanza promessa solo per un'estate. Un onda lunga di tutto questo si e' riversata in meno di un secondo nella piazza della stazione, verso il binario 1, infilata laggiu' nel sottopassaggio. Un mondo compatto, fatto di cose e persone che poco prima erano vive, e' venuto giu', sfaldato e si e' dissolto. E in quel macello l'orologio si e' fermato. 10.25. 85 morti, 200 feriti.

Ci sono silenzi cosi' pieni di rumori che spesso si annullano a vicenda. Frasi, azioni, gesti, sguardi, la vita si e' congelata, ibernata, come quelle statue di gesso che non hanno colore, stanno li' immobili, ti guardano, non hanno piu' un'anima ma parlano. Cosa contengono due minuti di tempo dopo una strage? Ci sono silenzi in cui le parole non dette suonano ancora piu' forte. Frasi che risuonano nella testa, chiare e rotonde, pizzicano in gola, sul fondo della lingua, premono forte sulla laringe e schioccano, sonore e senza voce, contro il palato. Silenzi in cui le parole si trasformano in urla soffocate. Come vite sospese che non sono piu' corpo e spazio. D'inverno, ci sono mattine fredde e livide in cui un urlo e' piu' acuto e veloce di un giorno di nebbia fitta. D'estate ci sono certe giornate di primo agosto, limpide, calde, dove non c'e' ragione perche' un urlo non possa fare lo stesso. E sul mare, quando il sole si riflette sull'acqua, sulla spiaggia giungono le voci di barche lontane alcune miglia, un urlo corre sul riverbero e salta come i sassi lanciati sulle onde. Quell'urlo lontano, straziante, indifeso, giunge come un fischio acuto. E compie il giro del mondo. In molti lo percepiscono, forte e chiaro, potente come una bomba. Nulla sara' piu' uguale a prima.

".........3,7,6,8,14,16,19,20,21,23,24,44,66,72. Anni vissuti che non sono numeri per statistiche. Scoprono che quella targa ha un'anima e a volte parla. Quelle parole spezzate e' come se volassero. Ancora oggi, dopo che il tempo ha fatto il suo corso. Intorno a Bologna i treni compiono gli stessi percorsi. Sul primo binario c'e' un signore con il grembiule bianco che vende panini e caffe'. La locomotiva decelera, frena, si ferma, scarica passeggeri mentre altri rimangono affacciati al finestrino. Proprio come il 2 agosto 1980. Se ti metti dall'altra parte del vetro della sala d'aspetto puoi osservare i volti di chi passa veloce e di quanti si fermano e ricordano. Laura e' un'insegnante di Modena. Tiene per mano due bimbi. Quel viaggio e' una promessa mantenuta. Sull'Appennino Tosco-Emiliano, a Porretta Terme c'e' un campeggio. I bambini scendono dal treno e Laura li porta a bere al bar. Quaranta minuti li separano dalla coincidenza con il locale Bologna-Firenze. Passano cantando davanti a quella lapide ma Laura si ricorda che oggi e' il 2 agosto. E si mette proprio davanti a quella lista di nomi che non ci sono piu' e che non ha mai conosciuto. Ales, Alganon, Avati, Barbaro, Basso, Bandouban, Bergianti, Bertasi, Betti, Bianchi, Bivona, Bonora, Bugamelli, Burri........ Sono 85 i morti della strage. A quei bimbi che vanno in vacanza, Laura racconta:

"Era un giorno d'agosto proprio come oggi. Qui c'erano centinaia di persone che andavano in vacanza, come noi adesso. A un certo punto lo scoppio di bomba li ha travolti, uccisi. Molti di loro erano bimbi, come voi".

I due fanciulli la stanno ad ascoltare, in silenzio, impietriti. Uno si mangia le unghie, l'altro guarda verso i binari. Per pochi secondi hanno la sensazione di non essere immortali. Laura rimane ancora sotto la pensilina del primo binario ma l'altoparlante annuncia il treno per Firenze. Cosi' prende i bambini e se ne va. Spariscono dietro all'angolo dell'ala della stazione dove partono i treni locali. Almeno Laura ha gli occhi della memoria.
Daniele Biacchessi.

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Fonte: Bologna, L'Inferno Della Stazione (di Daniele Biacchessi su Cado In Piedi)
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