Dietro il vetro della biglietteria, due ferrovieri, in divisa ma senza cappello, conversavano cercando di ingannare l'afa e la noia. Come ogni settimana entravo nella piccola stazione per comprare i giornali, i miei giornali, che in altre edicole non venivano venduti: Umanita' Nova, Lotta Sindacale e, una volta al mese, la rivista A.
Avevo cura di venire sempre lo stesso giorno della settimana, perche' ero sicuro di trovarlo li', seduto dietro la massa di quotidiani e rotocalchi, nel suo chiosco di giornali. Era un vecchio giornalaio, che ricordavo seduto li' dietro, sempre nella medesima posizione, da quando mio nonno, quando io ero piccolo, mi portava a vedere gli uccellini nella voliera del piazzale e i treni merce e l'estate mi comprava anche il gelato, al bar. Andavamo sempre di Lunedi', a guardare gli uccellini e i treni, perche' mio nonno era barbiere, e i barbieri sono sempre chiusi il Lunedi'. Non ricordo se mio nonno si fermasse a chiacchierare col giornalaio o si limitasse a salutarlo. Ricordo pero' che lui era seduto sempre al solito posto, lo stesso posto dove sedeva anche quel giorno, l'unico giorno della settimana che gli era permesso di lavorare.
L'edicola era passata alla figlia e siccome lui era malato gia' da qualche anno, lei gli permetteva di starci solo un giorno alla settimana. Era il giorno in cui giornali che io acquistavo venivano consegnati. Lui, il vecchio giornalaio, un anarchico convinto, di quelli che ora non esistono quasi piu', provava ancora un gran piacere a disporre le poche copie della stampa libertaria sull'espositore, a farne risaltare in maniera particolare i titoli.
Mi conosceva, anche se non conosceva il mio nome, e io d'altronde non conoscevo il suo. Mi conosceva perche' ero uno dei pochi suoi clienti che abitualmente, da anni, acquistavano quei giornali che parlavano di liberta', una liberta' grande e bella, forse troppo grande e bella per la maggior parte della gente che diceva essere pericolosa e stupida. Ricordo che lui, da dietro i suoi occhiali scuri, che riparavano i suoi vecchi occhi dalla luce troppo bianca della sala d'aspetto, mi vedeva entrare e mi faceva un cenno di saluto, piccolo, discreto, quasi impercettibile, e io contraccambiavo con un buongiorno. Alle volte mi chiedeva se avessi letto dei libri che lui amava molto, Malatesta, Bakunin, Berneri, e io rispondevo, all'occasione, si' o no.
Quel pomeriggio d'estate, in quel caldo terribile e accecante, davanti a me c'era solo una signora sui trentacinque anni, che stava scegliendo una serie di riviste d'attualita', patinate e ingombre di fotografie. In quei giorni parlavano tutte dello stesso argomento; poche settimane prima, c'era stata una grande catastrofe, uno tsunami che aveva mietuto migliaia di vittime, e che aveva suscitato scalpore tra la gente, e una paura cieca e irrazionale verso l'ignota forza devastante della natura e che, alimentata da apocalittici e spettrali programmi televisivi, si stava rapidamente gonfiando ad attacco di panico collettivo. Guardandolo mentre la donna stava appoggiando le riviste che aveva scelto sul pianale di vetro adibito a cassa, capii il disappunto del giornalaio da una lieve smorfia che passo' veloce sul suo viso. La donna pago' mentre io stavo prendendo i miei giornali dall'espositore e mi stavo avvicinando alla cassa. Il vecchio giornalaio, nel porgerle il resto, mi fece un cenno divertito alzando le sopracciglia e chiese alla frettolosa cliente:
- Signorina, mi scusi, ma lei ha mai letto Kropotkin?
L'espressione che muta apparve sul viso della donna era per contro molto eloquente, e sembrava volesse dire "ma che vuole da me questo vecchio rompiscatole?"
- No perche' sa - continuo' il giornalaio - se lei avesse letto Kropotkin - scandendo bene il nome come per imprimerlo nella mente della donna - non avrebbe cosi' tanta paura della natura. Colta in un punto dolente e sensibile, la donna raccolse i suoi rotocalchi e usci' con passo veloce dalla stazione, mentre io e il giornalaio ci scambiavamo un sorriso divertito. Mi avvicinai alla cassa, pagai e salutando con un cenno della mano, mi avviai all'uscita, aspettando alle mie spalle, come un rito tradizionale, quel suo saluto tutto speciale, col quale si accomiatava da me ogni volta, e che arrivo' puntualmente, anche quel giorno, quando ero ormai nei pressi della porta. Misi in moto la Vespa, riposi i giornali nello zaino, e me ne andai, ingurgitato dal caldo torrido del viale.
Se avessi saputo che quella sarebbe stata l'ultima volta che lo avrei visto!
Nei giorni seguenti purtroppo, forse anche a causa del caldo insopportabile, la sua malattia, a quanto venni a sapere dopo, ebbe una grave ricaduta, motivo per il quale la figlia decise che sarebbe stato meglio che suo padre, il giornalaio, rimanesse a casa. Un paio di mesi dopo mori', e la figlia vendette il chiosco dei giornali. Dopo che riapri' sotto la nuova gestione, ci tornai, in cerca dei miei giornali e, chissa', magari anche di una nuova abitudine. Mi ricordo che era uno scuro pomeriggio d'inverno e lo sconosciuto edicolante mi saluto' in maniera pulita e cortese, mentre io puntavo direttamente all'espositore con i miei giornali, che pero' non trovai piu' al loro posto.
- Buongiorno - dissi avvicinandomi al giornalaio - mi scusi avrebbe Umanita' Nova? O Lotta Sindacale?!
- No, in realta' non li conosco neanche. Che cosa sono?
- Sono dei settimanali, dei giornali anarchici. Li ho sempre comprati qui!
- No non li ho purtroppo - rispose in modo professionale ma sensibilmente infastidito, il bel tomo abbronzato e in camicia rosa, che sedeva, usurpatore, al posto del mio vecchio amico giornalaio.
- Non avete neanche A?
- Intende Avvenire?
- Macche' Avvenire - feci io, scocciato - A la rivista mensile anarchica.
- No quella non ce l'ho ma se le interessa, sullo stesso genere, avrei al rivista dei giovani progressisti europei - mi rispose con la sua faccia di bronzo, mostrandomi un'insipida rivista bianchiccia.
No, lasci stare, grazie e arrivederci - e cosi' dicendo mi avviai verso l'uscita, lasciandomi alle spalle un disinteressato buona sera che mi rincorreva al piccolo trotto nella sala d'aspetto della stazione. Arrivato di fronte alla porta, mi fermai un momento prima di aprire, vedendo il mio viso riflesso sul vetro, e un'improvvisa, morbida malinconia mi cinse le spalle, pensando al mio vecchio amico giornalaio. Mi voltai verso il chiosco, chiusi un momento gli occhi, e fu allora che lo rividi li', seduto dietro la cassa, coi suoi occhiali scuri e con i nostri giornali ben disposti sull'espositore.
Mi voltai, aprii la porta e, uscendo, sorrisi un attimo, tristemente, riascoltando il suo saluto, col quale sempre si congedava da me: perche' anarchico e' il pensiero e verso l'anarchia va la storia.
Andrea Mincigrucci
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Fonte: Il Giornalaio Anarchico (di A Rivista Anarchica)
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