Su via Fani un'onda di dietrologia
di Marco Clementi e Paolo Persichetti
Abitavano in via Stresa, a poche decine di metri dall'incrocio dove venne portata a termine l'azione piu' importante delle Brigate rosse. Giuseppe Biancucci aveva 23 anni e Roberta Angelotti 20, quella mattina stavano tornando a casa ignari di quel che stava accadendo, non avevano armi con loro e non facevano parte delle Brigate rosse anche se gravitavano in un'area politica contigua. Erano sulla moto che transito' pochi attimi prima dell'arrivo del convoglio di Moro che subi' l'attaccato di un nucleo composto da dieci brigatisti. La motocicletta che passo' improvvisamente sulla scena non c'entrava nulla con quell'azione, anzi, creo' solo imbarazzo. Biancucci e Angelotti, conosciuti a Roma Nord come "Peppe e Peppa" erano due "compagni" che militavano nel "Comitato proletario di Primavalle Mario Salvi", dal nome del "militante comunista combattente" ucciso nel 1976 con un colpo di pistola alle spalle da Domenico Velluto, guardia carceraria, alla fine di una manifestazione sotto il ministero della Giustizia.
La loro militanza politica e' una circostanza decisiva perche' spiega due cose: il comportamento tenuto una volta giunti all'incrocio tra via Fani e via Stresa e il loro successivo silenzio. Dettaglio non da poco, Biancucci e Angelotti vennero arrestati nella primavera successiva nel corso di una inchiesta condotta dai Carabinieri nella zona Nord della capitale contro l'Mpro, un'area che le Brigate rosse stavano tentando di creare al di fuori dell'organizzazione con l'intento di coinvolgere parte del "movimento".
Come ha raccontato Contropiano, Giuseppe Biancucci conosceva molto bene due persone che erano in via Fani quella mattina: Valerio Morucci, uno degli "steward" che dietro la siepe del bar Olivetti attendevano la vettura di Moro e la sua scorta e Alessio Casimirri, uno dei componenti del "cancelletto superiore". Con il primo aveva frequentato il liceo mentre con il secondo aveva condiviso la militanza nel comitato di Primavalle. Rallento' perche' si accorse di loro, vide Morucci camuffato, capi' che stava accadendo qualcosa di grosso, addirittura lo saluto' con un cenno di mano e poi via a tutto gas verso casa. Quell'esitazione, gli sguardi di complicita' scambiati con i vecchi compagni furono poi interpretati da alcuni testimoni oculari, alquanto confusi e contraddittori, come il segno di una complicita' operativa che non ci fu.
La domanda giusta, allora, non e' cosa stessero facendo Biancucci e Angelotti sotto casa sulla loro moto con targa regolare, ma perche' non hanno mai parlato. Porsi una domanda giusta e' il segreto per avere una risposta di qualche interesse. L'esatto opposto di quel che fa la dietrologia. Per la cronaca, Biancucci rientrava dal lavoro, smontava dal turno di notte nel garage del padre situato a poca distanza.
E forse non ha mai parlato, perche' in via Fani aveva visto degli amici, perche' magari era convinto che stessero facendo una cosa condivisibile, o semplicemente perche' un "compagno" non fa la spia. Tempi diversi da quelli odierni.
A parlare ci pensarono poi altri, alcuni pentiti come Raimondo Etro che rientrato da una lunga latitanza all'inizio degli anni 90 per discolparsi dal sospetto di essere stato uno dei passeggeri della moto riferi' l'episodio sentito raccontare dalla Algranati: "ad un certo punto sono passati i due cretini di Primavalle ed hanno anche fatto ciao ciao con la manina". Individuati dalla Digos, Biancucci e Angelotti vennero ascoltati nella primavera del 1998 dal magistrato che cerco' di incastrarli su un'altra vicenda, quella del tentato omicidio di Domenico Velluto, l'assassino di Mario Salvi, e della morte del suo vicino di tavolo, Mario Amato, colpito per errore in una trattoria mentre festeggiava la scarcerazione. I due ammisero di essere passati per via Fani quella mattina ma con tutto il resto non c'entravano nulla. Successivamente, Valerio Morucci e Adriana Faranda confermarono l'episodio ed uno dei testimoni chiave di via Fani, l'ingegner Marini (citato sempre a sproposito) riconobbe addirittura lo stesso Biancucci, scomparso precocemente nel 2010, come il guidatore della moto.
Le considerazioni che questa storia suggerisce sono molte:
- 1) 16 anni fa la magistratura e' pervenuta ad una ricostruzione della vicenda della moto di via Fani che si avvale di elementi probanti molto forti: la deposizione dei due motociclisti che hanno ammesso la circostanza, la plausibilita' del loro racconto, la prossimita' delle loro abitazioni con via Fani, il riconoscimento del testimone, il possesso della moto da parte del Biancucci compatibile temporalmente con i fatti, la testimonianza di uno dei brigatisti presenti in via Fani. Evidenze del tutto ignorate dal circo mediatico che ha rincorso uno scoop fondato su una lettera anonima farcita di contraddizioni. Possibile che nessuno sapesse dell'inchiesta del 1998? Che nessuno si sia ricordato?
- 2) La lettera anonima e il racconto dell'ex poliziotto in pensione, la stesura romanzata della vicenda facevano acqua da tutte le parti. Ci voleva molto poco per sentire puzza di marcio. L'autore dell'articolo scegliendo un registro narrativo vittimistico-persecutorio ha omesso di raccontare come le procure di Torino (pm Ausilio) e Roma (procuratore aggiunto Capaldo, a cui venne trasmesso il fascicolo per competenza), avessero fatto accertamenti escludendo l'attendibilita' di quanto asserito in quella lettera ed inviando la pratica verso una inevitabile archiviazione (Cf. la copia delle lettera).
Si potevano evincere da subito due grossolane contraddizioni:
- a) Stando al suo contenuto, l'anonimo autore del testo (dalla sintassi traballante) sarebbe il passeggero posteriore della motocicletta, quello che secondo uno dei testimoni piu' citati di via Fani - l'ingegner Marini - aveva un sottocasco scuro sul volto e soprattutto era armato con una piccola mitraglietta con cui avrebbe sparato ad altezza d'uomo (anche se i bossoli non sono mai stati trovati e l'esame balistico non conferma affatto l'episodio). Perche' mai dunque la ricerca delle armi si e' indirizzata solo sul guidatore (di cui si forniscono tracce nella missiva) che non aveva armi in mano? Ed a lui sarebbe stata trovata una improbabile pistola per nulla riconducibile ad una mitraglietta?
- b) Racconta l'ex poliziotto di aver trovato l'arma sospetta nella cantina del supposto guidatore, vicino ad una copia cellofanata della edizione straordinaria de La Repubblica del 16 Marzo con il titolo "Moro rapito dalle Brigate Rosse". Se non e' un copione cinematografico poco ci manca. L'arma era una Drulov cecoslovacca, pistola sportiva monocolpo a gas compresso Co2, con canna molto lunga. Poco maneggevole, basta provarla per capire che va bene solo per il tiro a segno, da posizione immobile e con tempo prestabilito per la mira, inutilizzabile in un'azione come quella di via Fani, impensabile come arma in dotazione a corpi speciali.
- 3) Siamo ormai al terzo tentativo fallito di accreditare in pochi mesi nuove piste, rivelazioni e misteri, dopo la clamorosa defaillance dell'ex magistrato Imposimato, raggirato da un personaggio che si e' finto teste chiave assumendo diverse personalita' e nickname e per questo ora indagato dalla magistratura. Queste "rivelazioni" assumono rilevanza non per la loro veridicita' intrinseca ma solo per l'enorme pressione mediatica che le sospinge e una volonta' politica largamente condivisa, decisa a non seppellire il cadavere di Moro per perpetuarne l'uso strumentale nell'arena politica con una nuova commissione parlamentare d'inchiesta.
- 4) Quale e' il significato ultimo di tanta dietrologia sul rapimento Moro? Estirpare da ogni ordine del pensabile l'idea stessa di rivoluzione. Sradicare quegli eventi dall'ordine del possibile. Negarne non solo la verita' storica (su cui il dibattito resta, ovviamente, aperto), ma l'ipotesi stessa che possa essere avvenuta. Presentare, quindi, le rivoluzioni come eventi inutili, se non infidi, sempre e comunque manovrati dai poteri forti, in cui c'e' sempre un grande vecchio che non si trova e una verita' occulta che sfugge continuamente. Si e' diffusa una sorta di malattia della conoscenza, una incapacita' ontologica che impedisce di accettare non solo la possibilita' ma la pensabilita' stessa che dei gruppi sociali possano aver concepito e tentato di mettere in pratica una strada diretta al potere. La dietrologia e il cospirazionismo hanno come essenza filosofica il negazionismo della capacita' del soggetto di agire, di pensare in piena autonomia secondo interessi legati alla propria condizione sociale, ideologica, politica, culturale, religiosa, di genere.
Cosa accadde a via Fani la mattina del 16 Marzo 1978?
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Fonte: Via Fani: L'"Honda" Dietrologica (di Baruda)
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