In uscita il 6 Giugno, il libro verra' presentato in anteprima il 1° Giugno con un'esposizione, ovviamente a Palermo, presso la Haus der Kunst - Cantieri Culturali alla Zisa.
Ad accompagnare le foto, un suggestivo testo scritto dal pittore Francesco De Grandi, anche lui palermitano, anche lui proveniente da quella stessa scena.
Su gentile concessione di Yard Press, ne pubblichiamo qui di seguito un estratto.
Io, Cane, Vibrione e Spascia, ci saremmo incontrati nel pomeriggio e dopo i preparativi, l'approvvigionamento dei materiali, l'assunzione di un numero cospicuo di anfetamine e un breve riepilogo, saremmo piombati all'ora prestabilita al villino disco-pub in via Resuttana, una villetta adibita a pub dove la giovane classe studentesca palermitana passava le serate. Il nostro bersaglio era un Darkettone nasuto e indisponente che aveva sgarrato pesante con il Cane, l'avremmo bastonato a sangue per poi dileguarci nella notte.
Punk, anarchici valprediani eravamo LA CUBA, un gruppo di attrattori impazziti, un avamposto Cyberpunk nell'interzona della Palermo anni '80 spazzata dal vento dell'eroina statale di Villa Siringa e del Liceo Artistico puzza di piedi. Disegnatori di altri mondi, di sordide buttane e di mostri malinconici. Stavamo accovacciati sul ponte non terminato di via Belgio, una rampa che si fermava al suo culmine in un groviglio di tondini d'acciaio, verso cio' che restava degli agrumeti della Palermo felicissima, con i piedi-anfibi penzoloni, a passarci le canne di erba di Partinico e meditare di fanzine indipendenti e di fighe spaziali, sotto di noi Aranceti Meccanici a perdita d'occhio.
Cane, una molla bassa e riccia pronta ad esplodere sempre, disse: "Nasone deve pagare! Nasone buttera' sangue dal cuore, buttera' veleno, quell'orrendo e fetido naso di merda glielo infileremo su per il culo spunnato che ha. Tutti d'accordo allora?". "Si' certo! Minchia si' compare! L'ammazzamu!", la nostra risposta in coro. Io mi cagavo in mano, ero letteralmente terrorizzato dall'essere fermato dalla polizia, da mia madre in lacrime e da mio padre furibondo che agita una spranga di ferro al grido "Drogato ti ammazzo io prima che lo fai tu da solo!". E soprattutto dalle legnate, una paura irrazionale, atavica e incontrollabile.
L'appuntamento era a casa di Spascia, faceva caldo, erano i primi giorni d'estate col sole feroce, il resto della famiglia Spascia era al villino al mare e l'appartamento in via Belgio era vicino al nostro obiettivo. Sotto casa c'era il nostro studio: un box di quattro metri per due arredato con sgabelli e tavoli rubati al liceo, il posto dove disegnavamo tutto il giorno sfondandoci di canne, dove ci portavamo le ragazze e dove Vibrione si rifugiava quando lo buttavano fuori di casa. Ci saremmo visti verso le 16:00 per andare a trovare le Plegine, pronti ad assumerne in dosi massicce e poi cagare l'inferno nei giorni successivi. Il piano era quello di utilizzare una finta ricetta e fare teatro. Ci saremmo spacciati per i nipoti di tale Giuseppina Lomanto che, impossibilitata a casa dalla mole e dal caldo, ci mandava a prenderle le pillole miracolose per poter dimagrire. Era la prima volta che le compravamo nella nostra vita, ovviamente c'era bisogno di due facce credibili, di bravi ragazzi e la scelta si rivolse obbligatoriamente al sottoscritto, faccia da bimbo appena piumato, e Spascia, che poteva benissimo suonare la chitarra in una Colonia Salesiana.
Dopo un paio d'ore eravamo riusciti a trovare una confezione di Plegine, un vaffanculo e un "Se non uscite subito chiamo i carabinieri... o le vostre madri". Non era minimamente sufficiente a procurare l'eccitazione di cui avevamo bisogno per affrontare l'aggaddo. Cercammo allora Spariggio, un tipo di 35 anni con l'erre moscia che bazzicava il liceo a ricreazione in cerca di fica e che quando pronunciava la parola spariggiare, termine multiuso da tecnici del gioco d'azzardo e delle risse da strada, era tutto un gorgoglio di saliva e goccioline. Spariggio ti capitava un po' di tutto e soprattutto ripeteva ossessivamente che con un chilo di zucchero sarebbe stato in grado di costruire una bomba, insomma una specie di "Il nostro uomo all'Avana" sputacchiante.
Ci avviammo verso un'aiuola poco sopra casa di Cane verso la rotonda di viale Strasburgo, vicino Villa Adriana, una villetta liberty miracolosamente sopravvissuta al sacco, un periodo allegro in cui le leggi sull'edilizia e sulla tutela dei monumenti storici furono momentaneamente sospese per fare posto al tuonare delle demolizioni e al fruscio delle mazzette. Li' c'era l'ufficio dello Spariggio, circondato da dinosauri di cemento impoverito, gia' lebbroso dopo neanche dieci anni dall'edificazione. Lo trovammo sulla sella della sua Gargiva modello chopper dei poveri grigio metallizzato con l'adesivo Bla Bla dalle carnose labbra da pompinara, gli occhiali a specchio e una orrenda canottiera a rete nera con vistosi falsi marchi Addibas. Spariggio fumava una Diana Blu dietro l'altra e dopo i saluti, le vasate, l'elenco delle ficcate memorabili mai avvenute, della bomba che con un chilo di zucchero avrebbe potuto facilmente costruire, un mantra di spariggiare che intervallava ogni tre parole, finalmente ci chiese: "Picciotti, avevate addibbisogno? Che vi posso capitare?".
Ci vendette tre pacchi di Play e quattro pillole a noi sconosciute ad un costo esorbitante. La substanzia c'era. Appena tutti e quattro fummo alla Cuba comincio' il rito: l'assunzione del Soma, la vestizione, la preparazione dell'armatura per la battaglia, le insegne di guerra, la danza, le mascelle serrate, l'euforia. Un gruppo di guerrieri temerari che avrebbero attraversato la foresta di pali e tralicci, di strade deserte e di cani affamati per portare la vendetta. Io mi misi una maglietta nera su cui avevo scritto con la candeggina "Democristiani di merda", pantaloni neri strettissimi fino a scoppiarmi le palle, anfibi militari usati viola scuro, capelli rasati a tazza come Ranx induriti da strati di sapone di Marsiglia secco e perlaceo e sui polsi due cinghie di cuoio di una vecchia cyclette trovata nell'immondizia.
Simone Sbarbati
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Fonte: La Palermo Punk Degli Anni '80 Nelle Foto Di Fabio Sgroi (di Frizzifrizzi)
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