Come racconta Una stanza e mezzo, film dedicato alla figura del poeta premio Nobel Iosif Brodskij, nell'Unione Sovietica post-staliniana (soprattutto all'inizio degli anni Sessanta), studenti e lavoratori erano chiamati a sottoporsi almeno due volte all'anno alle "cure" del reparto di radiologia: gli istituti scolastici, le fabbriche e gli enti statali richiedevano infatti radiografie sempre aggiornate del loro corpo. "Non so come cio' possa aver influito sui tassi di mortalita' o sulla salute dei lavoratori" racconta la voce nel film, "ma questa procedura ebbe dei risvolti incredibilmente positivi per lo scambio culturale tra sistemi politici: la musica sulle ossa". Si tratta del roentgenizdat (da rontgen, raggi X e izdat', pubblicare), la diffusione clandestina di "vinili", incisi su lastre radiografiche, di musica, spesso occidentale. Nel mercato nero circolavano cosi', stampati sulle "ossa" dei cittadini sovietici, i dischi di Elvis Presley o dei Beatles, per i quali negli anni Sessanta si diffuse anche in Urss una vera e propria mania - non a caso una delle pietre miliari nello studio del rock sovietico e' l'ormai storico volume di Artemij Troickij intitolato proprio Back in the USSR del 1987, che in italiano usci' come Compagno rock.

La musica sulle ossa europea e americana andava a ruba soprattutto tra gli stiljagi, i membri di una sottocultura giovanile che aveva preso a modello lo stile (stil', in russo) d'importazione occidentale, come si vede nel film di Valerij Todorovskij dedicato al fenomeno, tradotto in inglese come Hipsters (Stiljagi, 2008). Gli "hipster sovietici" sono in realta' solo uno degli esempi della variegata atmosfera clandestina (ma spesso quantomeno "tollerata") sorta nel sottosuolo del secondo Novecento, nel nuovo clima venutosi a creare con il cosiddetto "disgelo" kruscioviano. Un disgelo in realta' assai precario, che non si tradusse in una cancellazione della censura, in un alleggerimento del regime di controllo o in uno smantellamento del sistema rodato di arresti e deportazioni, ma che in qualche modo dette nuova linfa a un mondo che era stato soffocato nel sangue e nel terrore dei decenni staliniani. Dopo il XX congresso del partito comunista del 1956, durante il quale Chruscev annuncio' una prima destalinizzazione del paese e denuncio' i crimini del proprio predecessore, qualcosa si era incrinato: il partito non era piu' infallibile, si erano mostrate delle faglie entro cui fece presto a insinuarsi la gramigna della libera creativita'.

Ma l'epoca krusceviana ebbe anche un ulteriore importante lascito, soprattutto per quanto riguarda la vita privata. Dopo le devastazioni del secondo conflitto mondiale, l'emergenza abitativa determino' infatti l'inaugurazione nel 1954 di un'industria edile di massa. Agli ingegneri sovietici non era richiesto di progettare appartamenti che avessero un qualche valore artistico o che rispecchiassero un disegno originale, personalizzato, contrario all'ideologia anti-individualista del socialismo. Era piuttosto necessaria l'edificazione veloce ed economica di quanti piu' blocchi abitativi possibile su tutto il territorio dell'Urss. Fu cosi' che nacquero le cosiddette chrusciovki, strutture a cinque o nove piani che potevano sorgere nel giro di un solo mese e mezzo, e che si trovano disseminate ancora oggi dalla Siberia alla Moldavia, dall'Estonia al Caucaso, benche' pensate inizialmente come soluzione "temporanea" (entro gli anni Ottanta il comunismo si sarebbe inevitabilmente realizzato, si diceva, e ogni cittadino sovietico avrebbe potuto permettersi un proprio appartamento). Al di la' dello stato grezzo e dei limiti di questi blocchi divenuti simbolo del brutalismo sovietico, la loro comparsa ebbe un significato capitale per la popolazione che prima di allora aveva conosciuto la quotidianita' della coabitazione, la cosiddetta kommunalka. Compariva infatti la kvartira, l'appartamento, ovvero un primo spazio per il privato, per il personale, una rudimentale idea di privacy, che entro il collasso dell'Urss era conosciuta ormai da quasi la meta' dell'intera popolazione: erano in 127 milioni i cittadini sovietici che vivevano in una chrusciovka nella tarda epoca brezneviana.

Se oggi e' difficile immaginare di riuscire, per settimane, a restare in casa, rinunciando al caffe' e alla pizza al ristorante, alla palestra e al cinema al fine di debellare l'emergenza virale, allora la necessita', per ben diverse ragioni, era quella opposta. Si ricercavano l'intimita' e la segretezza del privato, entro cui, paradossalmente, richiudersi in tutta liberta'. Si erano mossi i confini, trasformati i concetti di interno ed esterno, di pubblico e privato. Lo spazio, molto piu' che una categoria narrativa, e' prima di tutto "uno dei mezzi fondamentali di comprensione della realta'", scriveva il semiologo Jurij Lotman: al variare dello spazio, varia anche, in maniera piu' e meno consapevole, il modo di muoversi e pensare in questo stesso spazio. Si modifica cosi' la nostra geografia antropomorfa (o, piuttosto, isomorfa all'uomo, come suggeriva Pavel Florenskij in Organo-proiezione, 1922). I modelli spaziali costituiscono una sorta di metalinguaggio attraverso il quale si identifica l'organizzazione interna del nostro quadro del mondo, anche da un punto di vista sociale, etico, estetico, culturale: pensiamo, ad esempio, al significato delle categorie dell'alto e del basso, della destra e della sinistra permutate, come illustrava il semiologo Boris Uspenskij, dal modello spaziale della religione. La kvartira sovietica divenne allora non un semplice interieur di rifugio, ma un autentico spazio culturale e spirituale, entro cui intere generazioni di cittadini sovietici riadattarono il proprio segmento di realta'.

Probabilmente anche per l'eredita' culturale lasciata dalla vita in kommunalka, il luogo preferito in questi appartamenti era la cucina, la "piccola, maleodorante cucina sovietica, dove tra pomodori marinati, versi poetici, tazze di te' e bicchierini di vodka [...] spazio e tempo si dilatavano e portavano lontano", come scrive Gian Piero Piretto. La cucina sovietica, preferita a "circoli e club offerti 'magnanimamente' dal potere", si era trasformata nello spazio della liberta' in questa parte di mondo. Cosi' la de-cantava un bardo di quel tempo, Julij Kim, in un ciclo di canzoni pubblicate nel 1990 (Moskovskie kuchni, Le cucine moscovite), in memoria di quel fenomeno ormai conclusosi con la nuova realta' socio-politica che si andava instaurando:
Sala da te', tavola calda con pirozki e bliny,
studio e bisca,
e anticamera che riceve gli ospiti,
per dirlo come un tempo, salotto,
e bettola per lo spavaldo di passaggio,
e per il bardo senzatetto asilo per la notte,
insomma - la cucina moscovita:
dieci metri per cento persone!
Qui tra un bicchiere di vodka e, soprattutto, di portvejn (l'ottimo Porto di produzione sovietica) ci si radunava, si discuteva, si declamavano i classici, si ascoltava della musica, i giovani poeti leggevano i loro versi e gli aspiranti musicisti suonavano dal vivo. Tali serate informali si fecero presto un fenomeno tanto diffuso da assumere anche una propria denominazione: erano nati i kvartirniki, da kvartira, appartamento. A Mosca, tra il 1975 e il 1983, ad esempio, l'appartamento del fisico Aleksandr Krivomazov divenne un'istituzione: oltre ai concerti privati, qui lo scrittore Venedikt Erofeev, "l'ultimo mito dell'epoca sovietica" secondo il critico Michail Epstejn, leggeva il suo Mosca-Petuski, un romanzo che, scritto tra 1969 e 1970, resto' nella clandestinita' in Urss fino al 1989; qui Arkadij Strugackij raccontava di come procedevano le riprese di Stalker di Andrej Tarkovskij (1979).

I piu' grandi miti del mondo musicale russo conoscevano la realta' dei kvartirniki: dai bardi Aleksandr Galic e Vladimir Vysockij ai primi gruppi rock come Akvarium e Zoopark, erano tutti passati per le cucine degli appartamenti sovietici. I versi di alcune canzoni di Galic registrate nella clandestinita' di questo sottosuolo finirono oltrecortina nel 1965 grazie agli scambi studenteschi tra Europa e Urss: un gruppo di giovani poeti e artisti dell'underground, riuniti sotto l'acronimo SMOG, le trascrisse infatti all'interno del primo e ultimo numero della loro rivista ciclostilata "Sfinksy" (Le sfingi); da qui, dal mondo del samizdat, grazie a una studentessa olandese che rientrava in Europa, giunsero sulle pagine della rivista tedesca di lingua russa "Grani". Gia' l'anno successivo Sergio Rapetti e Giovanni Bensi (sotto gli pseudonimi di Nicola Sorin e Jean Ibsen) le traducevano in italiano per la neonata casa editrice milanese Jaca Book. I confini erano permeabili - per la musica, per la poesia.

"Mia mamma e' l'anarchia, mio padre e' un bicchiere di portvejn", cantava Viktor Coj, icona del mondo rock russo che proprio dai kvartirniki aveva mosso i primi passi. Di una sua performance casalinga si conserva una rara registrazione del 1988, nella quale si sentono il vocio di sottofondo, il rumore dei bicchieri e delle bottiglie, gli applausi, le richieste e le domande dei partecipanti alla serata rivolte a Coj. All'epoca il musicista e cantante, leader del gruppo Kino, nonche' attore, era gia' una vera e propria star del mondo culturale sovietico, con ben sei album e cinque film alle spalle, e si esibiva praticamente senza onorari, se non i vuoti a rendere lasciati agli artisti dopo le serate: come ricorda il tastierista di un altro gruppo ben noto tra i kvartirniki del tempo, i Masina vremeni (La macchina del tempo), Petr Podgorodeckij, "provate a immaginarvi una qualche super-band, come i Rolling Stones ad esempio, che per un'esibizione di due ore in un stadio da ventimila persone ricevesse un onorario di circa due dollari, e oltre a questo uno stipendio di circa cinquanta dollari al mese. I Masina vremeni alla fine degli anni Settanta - inizio degli anni Ottanta avevano uno stipendio formale di quest'ordine". Coj visse tutta la sua breve vita senza nemmeno sognare il successo economico delle star oltrecortina; la moglie Marianna ricorda che non si pote' permettere un vero e proprio abito per le loro nozze nel Febbraio del 1984. Coj non fece tempo a vedere la nuova realta' post-sovietica, dove probabilmente si sarebbe consacrato il suo successo (anche a livello economico): mori' in un incidente d'auto il giorno di ferragosto del 1990. Fu un evento a dir poco scioccante per molti, tanto che ancora oggi sui muri di molte citta' russe si incontra la scritta Coj ziv! (Coj e' vivo!) "che sembra rievocare in stile parodistico gli slogan relativi alla morte-vita eterna di Lenin", commenta ancora Gian Piero Piretto.

Proprio alla band di Coj, i Kino, e' legata la figura che ha permesso al rock sovietico di divenire famoso anche nel resto del mondo. Nel 1987 il chitarrista Jurij Kasparjan sposo' infatti Joanna Stingray, cantante, attrice, produttrice statunitense, che ventitreenne nel 1984, assieme alla sorella Judy, decise di visitare Leningrado. Qui conobbe Boris Grebenscikov, frontman degli Akvarium, che la introdusse alla realta' musicale dell'underground: di un concerto casalingo nel suo appartamento Judy realizzo' una registrazione; dopo qualche canzone interpretata dal bardo Aleksandr Baslaciov, si puo' ascoltare lo scambio tra Joanna e il musicista, attraverso la mediazione del traduttore li' presente. Fu Joanna a portare questi artisti e i loro album, illegalmente, alla luce del sole - occidentale, s'intende. Stingray non fu soltanto la moglie di Kasparjan, ma "sposo'" l'intero mondo del nascente rock russo, che alla sua figura deve moltissimo.

Ma cosa rendeva il rock, il punk, bardi e performer fenomeni tanto pericolosi agli occhi delle autorita' da doversi esibire in primo luogo in maniera clandestina? Molto spesso non si parlava di canzoni di protesta, apertamente ostili al regime politico. Eppure, almeno fino agli anni Ottanta, il Goskoncert, l'ente statale che deteneva il monopolio sull'organizzazione di eventi e concerti nel paese, quasi non contemplava molti dei nomi noti al mondo underground. In realta' a essere censurata non era la musica di per se', non lo erano i generi, ma piuttosto la sua forma di esecuzione e diffusione era perseguibile. La musica ufficiale, soprattutto nei testi, era infatti vagliata attentamente dalle autorita', che ne evidenziavano eventuali contenuti ideologicamente inadeguati. Inoltre, qualunque forma di concerto auto-organizzato e con fini potenzialmente commerciali era vietata in Unione Sovietica: qui l'arte, musica inclusa, apparteneva di fatto allo Stato; gli artisti (quelli ufficiali, riconosciuti) erano dipendenti stipendiati e dovevano dimostrare di aver studiato negli istituti e nelle accademie statali per potersi definire "professionisti". Si ricordera', similmente, il noto processo al gia' citato Iosif Brodskij:
Giudice: Qual e' la sua professione?
Brodskij: Poeta. Poeta-traduttore.
G.: E chi l'ha riconosciuto come poeta? Chi la annovera tra i poeti?
B.: Nessuno. E chi mi annovera tra i membri del genere umano?
G.: E ha fatto degli studi per diventarlo?
B.: Per diventare cosa?
G.: Poeta. Non risulta che Lei abbia proseguito gli studi in istituti dove preparano, dove insegnano...
B.: Non pensavo che questo si potesse ottenere con l'istruzione.
G.: E con cosa allora?
B.: Penso che venga... da Dio.
Per questo motivo molti musicisti del mondo clandestino scelsero di "collaborare", registrandosi come professionisti presso varie Dom kul'tury ("Casa della cultura", centri culturali statali) - tra loro, ad esempio, i Masina vremeni, ma anche Vladimir Vysockij. Potevano cosi' esibirsi ufficialmente, forti del titolo acquisito, mantenendo un profilo tuttavia doppio e non abbandonando la realta' dei kvartirniki e altre forme illegali di esibizione musicale, cui riservavano le canzoni e le performance che non avrebbero potuto passare il vaglio della censura.

I rischi di questa attivita' clandestina non erano pochi: tra i piu' diffusi, i processi per "imprenditoria illegale" o "parassitismo sociale" e le espulsioni dai corsi universitari o da organizzazioni come il Komsomol (l'unione dei giovani comunisti). In un contesto cosi' casalingo, si puo' ben immaginare quanto potessero giocare un ruolo importante anche i rapporti di buono o cattivo vicinato, da cui dipendeva talvolta il successo del kvartirnik - e l'arrivo della polizia. Non di rado le serate venivano allora organizzate in concomitanza con le feste di Stato, occasioni che promettevano una maggiore tolleranza da parte dei vicini, a loro volta spesso impegnati in ricevimenti casalinghi.

Il fenomeno dei kvartirniki si estinse naturalmente con la fine degli anni Ottanta, con la cancellazione della censura, l'inaugurazione di una prima imprenditoria privata, il collasso dell'esperimento sovietico. Si rivelo' cosi' il carattere a tutti gli effetti performativo di queste serate: la performance non solo si basava sull'hic et nunc dell'esibizione, ma la sua stessa idea, all'interno del contesto specifico del kvartirnik, veniva meno alla modifica dell'hic et nunc socio-politico. La grande professionalita' degli artisti che durante il concerto casalingo non avevano margine di errore (perche' il piu' delle volte registrati), la vicinanza tra musicista e pubblico, l'unione pressoche' mistica tra il creatore e il fruitore: tutte queste caratteristiche si sono modificate assieme allo spazio, alla realta', sono state sostituite.

L'idea del kvartirnik e' pero' rimasta intatta nella memoria culturale russa: le serate casalinghe a base di musica e poesia rimangono una cifra della vita culturale e sociale; in diversi film negli ultimi anni si torna indietro a quei tempi e quelle primitive jam session; inoltre, ci sono stati alcuni tentativi piu' ufficiali di far rinascere il fenomeno, come la letterale apertura nel 2003 a Pietroburgo dell'appartamento di Dmitrij Gorochovskij ai kvartirniki del nuovo millennio, o ancora il programma televisivo ideato da Evgenij Margulis, che dal 2015 rappresenta un'ultima variante del kvartirnik contemporaneo.
Martina Napolitano

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Fonte: Underground D'Appartamento (di Il Tascabile)
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