E sbam. Porta sbattuta e discussione finita. Saranno state le dieci o le dieci e mezzo di una mattinata di fine primavera. Ma poteva essere anche autunno o agosto inoltrato data la cocciuta ripetitivita' della situazione. Ale era poco piu' grande di me, e di mestiere diceva di fare il giardiniere, anche se per la verita' erano solo lavoretti part-time, nel giardino di amici per lo piu'. Il padre si era speso in lungo e in largo per cercare di convincere la ditta di pulizia giardini ad assumere una cotanto famigerata bomba a mano. Perche' questo era Ale, un convinto praticante dell'opinione propria contro tutto e tutti, anche contro l'evidenza.
Io ho sempre pensato che in fondo fosse un gran bravo cristo, e in realta' lo era, ma lui era fermamente convinto del fatto che una vita senza marijuana e litri di alcol non valesse la pena di essere vissuta. E su questo potrei persino convenire. Ecco, io non sono certo un bacchettone del cacchio, o almeno non penso di esserlo, ma Ale non aveva la minima idea di cosa stesse a significare il senso della misura. Troppe sbornie e troppe canne ogni santa sera non hanno mai aiutato nessuno a svegliarsi la mattina presto per andare a lavorare, credo. Soprattutto poi se di andarci a lavoro non ne hai tanta voglia.
Ale ed il padre Pietro, un onesto impiegato postale in pensione, di origini meridionali e dalla buffa calata che solo i meridionali trapiantati qui da noi sanno sfoggiare, vivevano nell'appartamento appena sopra il mio, in una poco ambiziosa palazzina alla estrema periferia cittadina.
Inutile soffermarsi su quanto sia etereo il concetto di privacy in un condominio come quello. Se per caso ti sfuggiva un passaggio della classica sfuriata mattutina di Pietro, la signora Giovanna dello stesso pianerottolo, non mancava mai di aggiornarti con la puntualita' e la perizia della piu' scafata delle reporter. Cazzo se era sempre sul pezzo.
"Allora? Come va al lavoro Ale?"
"Ma come deve anda'? Mi fanno incazza' come le mine... E' possibile che mi tocca sempre a me buttare via la spazzatura, la merda, i topi morti? Che due coglioni! Io sono Giardiniere!"
"Ma cosa dici!?!?! Te non sei proprio niente! Devi ringraziare il cielo che hai questo lavoretto di questi tempi. Perlomeno ti metti qualcosa in tasca!"
"Si, quella miseria che ti danno per farti il culo come le ceste..."
"Lo voi capi' si o no che questo posto te lo devi tenere stretto perche' io non ti do piu' una lira?"
"Via, basta, tanto a parla' con te finisce sempre cosi'."
Io sinceramente non mi divertivo per niente ad ascoltare tutte queste cose. Capivo perfettamente Ale, anche io avevo discreti problemi comunicativi con mio padre. E forse la signora Giovanna aveva ricchi dossier anche sulla mia condizione. Mah, non lo so. Mio padre e' la classica persona che riesce a metterti in soggezione col semplice sguardo. Pietro invece, per quel che ne sapevo, era un grande e grosso bonaccione a volume altissimo e dalla spiccata disperazione per le condizioni del figlio. Io non ho mai capito mio padre, e lui mai capira' me. A questa conclusione giunsi gia' qualche anno fa. Pietro e Ale dal canto loro forse non erano poi cosi' distanti da noi. E la cosa mi faceva assai riflettere.
Altra mattina altra corsa:
"Io Ale non so veramente cosa fare con te". Anche stamani non si era alzato, anche stamani si sarebbe ripetuta la solita cazziata. O forse no...
"Babbo hai rotto i coglioni! Oggi lavoro di pomeriggio!". Beh, almeno stavolta aveva ragione Ale, direi...
Ora, sicuramente vi dovro' delle scuse per il linguaggio usato in questo mio racconto, e ve le porgo sentitamente, ma cazzo, io ho sempre stramaledettamente invidiato il rapporto tra quei due. Mi rendo conto che messa cosi' non ha per niente senso. Mio padre e io non comunichiamo, ci diamo il buongiorno e la buonasera come due perfetti coinquilini. Anzi come due educatissimi estranei. Il resto sono solo monosillabi e svogliati e atoni abbozzi empatici. Questo e' quello che abbiamo. Spesso, sentendo le loro voci che filtravano dal soffitto di camera mia, mi ritrovavo a fantasticare su come sarebbe stato bello, gratificante, depurativo, epico, un sano vaffanculo fra di noi. Su come sarebbe stato bello avere un rapporto come il loro. Semplice, schietto e diretto. Dove non c'erano bianche pause relazionali ma continue tempeste di colori, emozioni e reazioni.
Il solito per favore. Che bella frase da stupido film americano, dove c'e' sempre qualche depressoide che si aspetta che almeno il barista sappia qualcosa di lui. Ho sempre trovato un che di affascinante e affine in questi figuri accasciati su un bancone. E ci ho sempre trovato un che di romantico. Ma al di la' di queste baggianate, di per certo potrei dire che se mio padre fosse il barista, si troverebbe in grandi difficolta'. Quante volte l'ho odiato per questo. Ma non stavamo parlando d'altro?
Con Ale, al di fuori dei conflitti con la figura paterna, non avevamo molto in comune. Ci siamo fatti qualche bevuta insieme da buoni vicini, qualche chiacchiera sul lavoro che non c'e' e sul governo ladro.
"Come va con l'universita'?".
"Mah, va... Andrebbe meglio se magari uno alla fine del tunnel non scorgesse un futuro da sicuro disoccupato. Forse andrebbe meglio, si..."
"Eh che ci voi fa'... Pensa a me con mi pa' che continua a rompermi l'anima sul fatto che non ho voglia di anda' a lavora'. Sei un fannullone, mi dice. Mah, io mi ci incazzo, mi sembra quello stronzo del governo che ha detto che siamo tutti dei bambocci, com'e' che ha detto?"
"Bamboccioni".
"Si si, bamboccioni ha detto... Gli venisse la ca'arella sciorta a quel baccello li."
"Di sicuro ce la fanno veni' prima a noi se insistono cosi'". Generiche ma ficcanti elucubrazioni sui tempi che corrono e sui soldi che scappano.
"Oh Johnny non e' che avresti du'euri da prestarmi? Son senza cicche e sto smaniando." Ecco, questo era solitamente il segnale che anticipava la fine dei nostri occasionali scambi di vedute sul mondo. E ci tengo anche a sottolineare che non mi chiamo affatto Johnny, Ale chiama tutti cosi', quando ha confidenza con te ti chiama Johnny. Che ci volete fare. Per la cronaca quella volta glieli diedi quei du'euri per drum e cartine. Mai piu' rivisti.
Ora non so come ando' di preciso, so solo che un pomeriggio d'estate, di quelli che fa talmente caldo, e c'e' un'afa talmente fitta che ti sembra di camminare al ralenti', quel pomeriggio ritornando a casa dalla facolta' mi imbattei nella egregissima signora Giovanna. Stava davanti al portone del palazzo, con una busta della spesa in una mano, e un ben piu' pesante (almeno cosi' appariva) mazzo di chiavi nell'altra. Stava cercando disperatamente la via della serratura. Fu ben felice del mio tempestivo intervento e decise di premiarmi con una chicca:
"Grazie giovanotto". Incredibile quanta gente ancora usi questo termine, "giovanotto". "Senti, ma sai niente del signor Pietro e di quello scalmanato del figlio?". Ma perche', vogliamo parlare del termine "scalmanato"?
"No signora", risposi, "non ne so nulla".
"Un marasma micidiale", disse la vecchia utilizzando un'espressione che finalmente quantomeno mi sorprese, "porte che sbattevano, fracassi di bicchieri, urla e bestemmie e chi piu' ne ha piu' ne metta".
"Eh, cosa vuole che le dica, mi dispiace".
"Ma c'e' di piu', il padre ha praticamente cacciato di casa il figlio, dicendogli: sparisci, non ti voglio piu' vedere in faccia!"
"Se ha detto cosi' eliminerei il praticamente signora, e lo trasformerei in effettivamente. Comunque buona giornata, arrivederci." E me ne andai. La vecchia rimase per un po' perplessa a fissare la scia polverosa che ho lasciato dopo il mio scatto fulmineo verso l'unica via di fuga, le scale, e poi ha deciso di salire anche lei. Ma la vera sorpresa la trovai davanti la porta di casa mia. C'era un biglietto con scritto "Johnny" (ebbene si, c'era scritto proprio cosi'). Lo aprii senza il coraggio di pronosticarne il contenuto:
"ei Johnny, vieni al parchetto qui dietro quando arrivi a casa? Ti aspetto li."
Quando lo raggiunsi, lo trovai nella sua classica posa svaccata sulla panchina sotto la promettente ombra di un tiglio forte come la sua testa dura. Stava fumando, apparentemente spensierato fissava lo splendido cielo azzurro ceruleo di quel pomeriggio di giugno.
"Ciao Johnny!"
"Ale! Che e' successo? La Giovanna mi ha raccontato..."
"Deh, figurati se si fa una volta i cazzi sua!"
"Ha detto che avete fatto un bordello mai visto...".
"Niente di che, ho solo dato un cazzotto in un occhio a mi pa'... oh senti non ne potevo piu'".
"Ho capito. Ma ora che fine fai?"
"Che fine devo fa...". Mentre stava parlando notai che l'emisfero sinistro della sua faccia, nascosto dall'ombra del robusto tiglio, era in realta' di un poco sano color violaceo.
"Oh Ale ma stai bene? Hai un livido li che fa paura!" Ed in effetti piu' lo guardavo e piu' mi impressionava per colore e dimensioni.
"Si sto bene, tranqui Johnny! Vorrei solo sapere dove se ne e' andato quel babbione". Non c'era rabbia nei suoi occhi, ne' nel suo tono di voce. Appariva tranquillo, e lo era per davvero. Ma al contempo era veramente in ansia per il padre. Poveri ragazzoni, entrambi feriti dopo una scazzottata di famiglia: occhi pesti e corrucciati non di rabbia ma di amore profondo. Sembra assurdo ma e' cosi'.
Ne ero certo. Questo si leggeva chiaramente nei suoi profondi occhi castani, come quel benedetto tiglio sotto il quale aveva cercato di raccogliere le idee. E vi devo dire che le raccolse appena in tempo. All'improvviso, incerti se fosse una visione provocata dall'arsura, vedemmo un grosso ammasso di carne e muscoli puntarci con decisione dall'altro lato della piazzetta, quello opposto al nostro. Non era l'arsura. Prese a correre come ho visto fare solo in tv da furenti tori ispanici. Proprio come loro travolse tutto e tutti coloro che ebbero la malasorte di incrociare il suo incedere potente e costante. Ale sorrise e comincio' a piangere alla vista di tutto quell'ardore. Io sinceramente mi stavo cacando addosso. Il figlio prese a correre incontro al padre, l'impatto tra i due fece tremare i pilastri della terra: tsunami, terremoti e nuvole dense di polveri sottili non avrebbero abbandonato il parchetto teatro di questo avvenimento stupefacente per millenni. I due cominciarono a rotolarsi l'uno sull'altro sull'erba fresca e profumata, ridendo, ridendo e singhiozzando come non ho mai visto fare in vita mia, neanche dai tori di Pamplona. Poi si alzarono, mi dedicarono quasi in coro un classico "ciao Johnny", mi sorrisero e se ne andarono verso il loro nuovo nido domestico. Stavolta fui io a rimanere a fissare il cielo. Cosa c'e' di piu' bello e di piu' riflessivamente stimolante dell'azzurro etereo e vasto di un cielo ampio e terso. Beh c'e' il mare, il sesso, i sogni degli uomini, forse Dio, e sicuramente cio' che avevo appena visto. Ad un tratto tutto mi sembro' piu' chiaro, avrei detto splendente, luminoso e illuminante come la giornata appena trascorsa.
Erano le nove passate, abbondantemente passate ormai, e come sempre di mio padre neanche l'ombra. Dovetti attendere pazientemente fino alle nove e mezzo, consumando una piu' che frugale cena preparata con gli avanzi del giorno prima, per sentire il solito rumore del chiavistello che gira e l'inconfondibile suono dei suoi passi che rintoccano precisi nel corridoio, prima di vederlo affacciarsi in cucina. Neanche il tempo di sorbirmi il suo celebre, distaccato, assolutamente disinteressato, assente, vuoto e superficiale "Ciao, novita'?", che gli assestai il piu' bel destro della mia vita in pieno volto.
Eliana