Lavorava duro, mio padre, si spaccava la schiena in fabbrica, a fare i turni, ma ne andava orgoglioso, e diceva: - SEMPRE MEGLIO UNA VITA DI MERDA, CHE UNA VITA DA MERDE!
Abitavamo al Villaggio, cosi' lo chiamavano, alla periferia di Bologna: case popolari, miserie e tragedie diffuse.
Al Villaggio si cresceva nella strada, e lo capivi subito come funzionavano le cose.
Bullismo, droga, rapine... e sberle, quando ti andava bene.
La biblioteca comunale fu incendiata per scommessa, la farmacia trasloco' alla decima vetrina sfondata.
Si', sembra facile a dirsi, ma la devi avere vissuta davvero, la strada, per trovare le parole.
Non importa quello che scrivi, puoi inventare quello che vuoi, puoi parlare pure di cazzate, ma devi essere vero.
Devi rimanere in mutande.
E' questa l'unica cosa che conta.
Le storie sono importanti per come si raccontano.
E il punto non e' ricordare il preciso momento, ma l'intensita' dell'evento.
Una volta fatta l'esperienza della cosa, puoi anche condividerla con parole diverse.
Ma e' l'intensita', e' il bruciore emotivo, e' il dolore, che devi avere vissuto per poterlo trasmettere.
Questa e' la storia della mia strada.
Benvenuti all'Inferno.
Fabio Moglia
La Strada (di Fabio Moglia)
La Strada (di Fabio Moglia)
Mio padre era un comunista.
Un comunista di quelli veri. Di quelli che non esistono piu'.
Mi ha chiamato Tiberio perche' sotto di lui hanno ammazzato Gesu'.
Diceva che dietro ogni ricchezza ci sgocciola del sangue, e che quei cazzo di preti ci avevano rincoglioniti con lo spirito santo per tenerci mansueti, prostrati, schiavi docili e inermi.
Odiava il PCI, - PERCHE' HA FOTTUTO LA RESISTENZA! - diceva - E NON CI SONO CAZZI CHE E' STATO TOGLIATTI A SDOGANARE I FASCISTI!