Stanco di recensire i gruppetti soliti con la loro solita solfa "chenonsicapiscenientediquellochedicono" oggi vi parlo di un gruppo che ha saputo dare alle proprie note delle vere emozioni e a trasmetterle a chi ascolta.
Non si tratta di triti suoni gutturali urlati al microfono da quindicenni/panc in erba ma si tratta invece di dolce nettare, suoni mielosi che si calano nei timpani e inebriano il palato di chi si sofferma per un attimo ad ascoltare.
Se non avete ancora l'acquolina in bocca ficcatevi la canna del revolver in gola e tirate le cuoia senza leggere oltre, io, per conto mio, continuero' a sciorinare epiteti culinari che vi faranno di sicuro salire l'appetito.
Loro sono gli Affranti, e l'album di cui vi parlo e' "Cio' Che Rimane".
L'album esce all'incirca nel 2003, ed e' il primo parto del quintetto di Savona.
Scorro siti e webzine qui e la' e rimango sconcertato per i duri accenti con cui vengono apostrofati e i generi ignobili in cui vengono catalogati: Emo-core, emo-hc e chi piu' ne ha piu' ne metta.
Con il labbro pieno di sdegno ve la diro' io la verita'.
Forse e' vero che non propongono un genere attuale, e forse e' vero anche che hanno temi che sono in voga tra le nullita' emo, ma bisogna dividere la merda dalla cioccolata. Il loro cantato e' sicuramente cioccolata, i temi espressi nelle liriche non sono "emozionali" ma sentiti dal dentro, veri, viscerali.
Ma torniamo al genere proposto.
Ho gia' detto che non e' proprio attuale, anzi. Mi ricordano alla lontana la scena ar cor italiana degli anni '80, un genere e una scena che ormai sembrano eclissati e dimenticati.
I dati che piu' mi fanno viaggiare indietro con la mente sono la voce, che dimostra chiaramente che c'e' ancora qualcuno con un bel filo di rancore in gola e tanta voglia di gridare a voce alta, non il solito growl insomma; ..e i testi, che mi riportano alla mente i primi Kina e il punk dei Negazione poeti, temi semplici ma che sanno di dolore, ingenuita', stanchezza e maliconia.
La fragile voce sa trasformarsi in urla dolenti e poi in un parlato che sa assai piu' di lamento.
E' una voce costretta, che deve trovare spazio tra gli attimi di quiete e di rovinosa caduta verso l'oblio.
A conferire un tratto ancor piu' dolente e' forse la forte espressivita' che la voce riesce ad avere da un istante all'altro.
I versi vengono spesso accompagnati da una batteria altalenante, che ad un tratto scompare e poi torna a dettare tempi e ritmi serrati.
I riff di chitarra accompagnano e sostengono insieme ad un basso timido e poco sentito.
"(D)Istanti di felicita'", pezzo d'apertura, da' un fugace assaggio di chi e cosa sono gli Affranti, cito: "Istanti di felicita' lasciano in bocca // un acro e dolciastro sapore di oblio, incosapevolezza // ma sento che dentro di me tutto rimane in estrema tensione.."
Prima e seconda voce si dividono la piazza tra le note che stridono e il ritmo veloce che passa, si contrappongono l'una a l'altra negandosi e annullandosi a vicenda in un climax ascendente (saro' stato troppo ardito?).
"Sul bordo dell'acqua" e' il secondo pezzo.
Si apre con un "qualcosa" tratto da non so che, in cui ci stanno due signorinelle che sguazzano e si divertono nell'acqua e tutto a un tratto una ci resta secca. Intro apparte, la canzone parla di inquietudine, del disagio di sentirsi immobili e imperfetti, circondati dal nulla e al nulla destinati.
Il terzo pezzo e' "Macerie". Riprende piu' o meno i temi del pezzo precedente, pero' questa volta con un tono un tantino piu' apocalittico e cupo, malinconico, finito.
Le note incazzate pero' non mancano, a nessuno piace far parte dei rifiuti.. In questo pezzo piu' dei precedenti batteria e chitarra si mischiano in una bella spirale di riff metallici.
Segue "Equilibri (Abbandonarcisi)", anche questo aperto da un intro di cui non conosco la provenienza.
Testo e tempi sono piu' cadenti rispetto ai pezzi precedenti, quasi come fossero abbandonati a se stessi..come suggerisce il titolo stesso della canzone.
Questo pezzo, quasi sospeso tra il bianco e il nero, lascia parecchio intendere la poetica degli Affranti e l'aria cupa che permea tutto il lavoro.
Il quinto pezzo e' "Autismo". Anche questo pezzo ha un intro, e questa volta lo conosco (ASD), e' tratto da una puntata di Lupin III (il ladro gentiluomo).
Il tema della canzone non vi dovrebbe essere di difficile interpretazione, basti pensare a cos'e' l'autismo.. chiusura patologica in se stessi e mancanza totale di rapporti con gli altri, preclusione alla propria vita e al proprio tempo.
I tempi, nel caso specifico di questo brano, tendono un po' piu' all'amato e compianto ar cor anni '80.
Segue "Non smettero' mai" il cui testo e' stato scritto da Marvi Maggio.
I tempi dell'incipit di questo brano cadono in tempistiche piu' lente, quasi noise, per riprendersi e velocizzarsi mano a mano che il pezzo avanza.
Stesso discorso per il cantato,comincia con un parlato spento e rabbioso, alternato tra prima e seconda voce, ma che poi si fa sempre piu' veloce sino a sfociare infine in un lamento pieno di rancore.
Troviamo poi "Mutilato". Anche in questo brano, come per "Non smettero' mai", il testo non e' del pugno degli Affranti ma viene dritto dalla penna di Robinson Jeffers (per chi non lo sapesse, si tratta di un poeta americano, morto verso la meta' del secolo scorso, che ha ispirato con i suoi versi le opere di molti altri grandi, ad es. Charles Bukowski).
La lirica e' una sorta di cantilena, una supplica per un amore andato, perduto per sempre (piu' che una supplica si direbbe un requiem).
L'impatto emotivo e il coinvolgimento sono molto forti, sia per chi ascolta che per chi sta cantando. Dapprima le parole sono quasi un sussurro poi si fanno piu' pesanti, dense e cariche di rabbia.
Gli strumenti non possono far altro che accompagnare in disparte quello che le parole riescono benissimo ad esprimere da sole.
Penultimo pezzo e' "Vibrazione/Azione/Reazione". Come si puo' intuire dal titolo il brano e' composto da tre "parti".
La prima, la vibrazione, non e' altro che un parlato accompagnato in sottofondo da una chitarra molto lenta.
La seconda,l'azione, rabbiosa, ruggente, divisa tra prima e seconda voce che si intrecciano l'una a l'altra dando nuova forma alle strofe.
Ed in fine la terza, la reazione, rapida, decisa, che lascia poco sperare.
Eccezion fatta per la prima parte, batteria e chitarra accompagnano veloci le voci e l'evolversi del brano.
Chiude, magistralmente, una "versione musicata" della poesia "Il mio urlo" del poeta nostrano Pier Paolo Pasolini.
Nulla da dire sul testo (si tratta sempre del nostro Pierpy), la parte strumentale e' omogenea al resto del disco, il basso rimane sempre timido e poco chiassoso.
Concludendo, l'ascolto intero di questo album potrebbe essere pesante per i piu', i temi trattati non si allontanano mai di troppo gli uni dagli altri, ma il lavoro e' comunque abbastanza variegato se si tiene in conto il resto della scena.
Il genere potrebbe non piacere ma consiglio, prima di cestinarlo, di ripetere qualche volta in piu' l'ascolto, cosi' da coglierne tutta la poetica.
Oltre non mi dilungo.
A voi dunque, signori, buon ascolto.
kraft-hc

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Affranti - Chi Sono Io? Chi Sei Tu?

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