La qui seguente recensione parte come "esercizio di stile", una lezione da impartire al cantante del mio gruppo crust, i crisi isterika: ulteriore premessa fondamentale alla precedente premessa è che il suddetto cantante generalmente passa il suo tempo libero(tra le sue mansioni di portinaio e quelle di bestia urlatrice crust) a cercare esemplari femminili della sua razza (quale non so) a cui spulciare la schiena pelosa per nutrirsi dei preziosi anàfitteri -di cui va molto ghiotto-.
Ora, e qui le due premesse si legano in un tuttuno armonico e mistico (vedi ying e yang), il nostro non si sa perchè oggi anzichè trovare una piattolosa donna pelosa ha deciso di dedicarsi alla recensione di un disco, sozzando con la sua vulgata da zazzera di prima elementare queste pagine telematiche.
Alchè alla conseguente mia critica,esso, in modo piu' o meno implicito mi ha intimato di cimentarmi in una recensione, al fine di verificare se le mie rotture di coglioni erano motivate o meno, ed eccomi qua.
Fossi piu' meticoloso cercherei di collegare le premesse alla recensione in sè, oltre che tra loro, ma siccome sono sfavato & pigro di indole &d è l'1 di notte, non ho voglia, e trattandosi di un'operazione puramente manierista non ne vedo nemmeno il bisogno
Ed eccoci qua alfine, a trattare di un disco che appassiona sia me che il cantante crustoso di cui sopra, ossia "Blank Generation", di Richard Hell and the Voidoids.
Album targato Sire e uscito nel 1977 in un elegante Lp in una copertina dai colori pacchiani (rosa, marrone e verde acqua: mica cazzi) ritraente nientepopodimeno che il nostro caro Riccardo Inferno in camicia lacera e occhiali scuri.
Non da poco la foto di copertina, visto che bene o male il nostro Riccardo nella sua lunga carriera è riconosciuto come l'inventore della maglietta strappata,stile poi portato alla ribalta oltreoceano con i gruppi punk inglesi etc.etc.
Non da poco manco il contenuto dell'album che contiene pezzi epocali, come la title track o love comes in spurt, che hanno attraversato tutta la fase iniziale della new wave americana, dai neon boys & television di tom verlaine, fino agli heartbreakers di johnny thunders, tutti grupponi che Hell si è preoccupato di cofondare e poi abbandonare quando la sua personalità entrava in conflitto con quella dell'altra madrina... ma in fondo questo non è pertinente con la recensione, o forse si,chissenefrega. "Blank Generation" dicevamo. Il fatto che Richard Hell troneggi in copertina sul nome del gruppo, Voidoids, non significa che gli attori comprimari di quest'opera (??) siano meno importanti del padrino.
Marc Bell è uno dei nomi, e gli amanti dei ramones conosceranno già il talento di questo batterista, mentre le due chitarre di Quine e Julian creano degli intrecci che definiscono al meglio un rock n roll piuttosto atipico basato su ritmiche piuttosto primitive (in alcune cose mi ricordano un'album di Patti Smith, Horses, in altre gli Heartbreakers) fornendo una melodia alle linee di basso,che definire innovative è dir poco, e alla voce ora frenetica e incalzante ora lassa e riflessiva di Hell, cantante e bassista del gruppo.
Per quanto musicalmente questo album sia innovativo, è nelle liriche che si fa rivoluzionario, proponendosi come spartiacque generazionale.
Malgrado anche altri abbiano trattato in passato tematiche di disagio, di solitudine e di alienazione, in Blank generation non c'è positività, non c'è l'affermazione di controvalori o sottovalori ai problemi della sua generazione. una generazione che risulta bianca, neutra, bastarda, che più che alla tradizione rock "militante" o (a posteriori) da "live aid" si rifà a un decadentismo e a una danza nei colori del crepuscolo con una morte che l'edonismo non può piu' scacciare, una morte che non dà eroismo, una morte scevra di lirismo.
In fondo nelle parole di un grande chitarrista appartenuto a questa "Blank generation", alla new wave statunitense, "punk" è sapere di dover morire e fregarsene. condivisibile o no come affermazione, è questo il concetto che guida le riflessioni di Hell.
I belong to the blank generation: riflessioni che si risolvono in una pagina bianca, che coloro che la tengono in mano si premurano di riempire e poi cancellare nuovamente quasi in una risata sardonica.
Finite le pretese della generazione hippie, della generazione delle droghe, le pretese di infiammare nuove rivoluzioni, di esplorare a fondo ogni angolo del cerebro per essere guida nella società, rimane solo il nichilismo e la furia del punk, la furia di una generazione disillusa che si sfoga con una musica selvaggia, caotica (per i tempi almeno...) e disillusa.
Forse non manca in questo album un tentativo di dare un unità alla realtà che circondava quei ragazzi, ma sono lontani i tempi di un rock sicuro di sè e altisonante.
Piaceri nuovi, per sopravvivere a una vita troppo forte, "luci" a guida di un mondo del tutto personale, buchi nell'uniforme caos cittadino dove ballare il rock n roll e bruciare amori in una notte.
Una fuga del tutto elementare più vicina al revival dei Ny dolls che ai deliri di onnipotenza dei dinosauri del rock.
Piu' vicina al rytmh and blues degli yardbirds, dei primi rolling stones, ma straordinariamente diversa allo stesso tempo: un richiamo alla stessa energia primordiale e allo stesso tempo più raffinata e sofferta.
Che poi gli aspetti piu' "arty" siano stati spazzati via dal punk rock inglese, è un altro discorso.
Se vi aspettate un voto su questo album dopo tutto questo popò di sbrodolo siete dei cretini, è come dare un voto alla gioconda. Magari questo album non ha il perfetto sorriso beota di quella vacca, e sicuramente chi l'ha creato non aveva nemmeno pretese simili, ma forse è qui la forza di questo album e di tutto quello che l'ha seguito, la disillusione.
Una lezione importante che oggi i più dimenticano in deliri di rivolte e sterili proteste,e che rende ancora piu' importante questo album e il messaggio che contiene.
Nocciolino

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