I bambini raggiunsero i cassonetti. Erano quattro e i coperchi non si chiudevano, per quanti sacchi erano ammassati la' dentro. Squarciati dai topi e dai barboni, il puzzo di verdura putrida, di fondi di caffe', bucce di mele e arance, carne grigia e verde. Lo spigolo di uno dei cassonetti era rotto e un olio nero gocciolava sull'asfalto. La macchia si allargava nell'ombra. "Ecco" disse Filippo fermandosi tra il terzo e il quarto cassonetto, "guardate". "C'e' del cellophane" disse Camilla. Quello lo vedeva bene anche Luigi: era un grosso sacco di nylon grigio pieno di cellophane. Filippo lo supero' con un salto e prese Camilla per mano. "Guarda da questa parte" disse. Camilla si chino' e urlo'.
Luigi fece il giro e osservo' anche lui: nel sacco c'era uno strappo e da li' sbucava un ciuffo di capelli. Era attaccato a una testa. Gli occhi erano aperti e gialli, i vermi grassi uscivano da sotto le palpebre e la barba era incrostata di rosso scuro. Luigi senti' il vomito risalire dallo stomaco alla gola e poi schizzare fuori dalle labbra. Gli resto' il sapore acido in bocca. "Che schifo che fai" disse Filippo. "Scusa" mormoro' Luigi, e si puli' con la manica. Il camioncino dei rifiuti si stava avvicinando. "Dobbiamo portarlo via". Filippo afferro' il sacco. "Aiutatemi".

Lo trascinarono lungo il marciapiede, dietro alle colonne della piazza. Il cortile di casa non era lontano, eppure dovettero fermarsi quattro volte per riprendere fiato. Camilla era pallida, Luigi le prese la mano. Era sudata e fredda. Arrivarono al cortile, i palazzi grigi coprivano il cielo. Si vedevano solo le finestre chiuse e i balconi con i loro teli di plastica per proteggere le famiglie di operai dallo smog. "Portiamolo nel capanno" disse Filippo. I bambini attraversarono lo spiazzo di terra battuta. Una volta, Luigi era bambino, li' era tutto prato. Ricordava ancora i fiori, ma ora c'erano soltanto terra e polvere e il capanno con gli attrezzi del giardiniere. Aveva una sola finestra, la porta non si chiudeva bene e le assi si staccavano.

Una volta dentro i bambini si appoggiarono alle pareti. Filippo socchiuse la porta, un raggio di sole al tramonto illuminava a sufficienza per vederci, se si stringevano gli occhi. Filippo prese un'asse in un angolo. C'erano dei chiodi che spuntavano da un'estremita'. La uso' per squarciare il sacco. Camilla si appiatti' contro la parete, Luigi si sforzo' di rimanere fermo. La testa puzzava piu' dei quattro cassonetti della piazza ed era ancora attaccata al corpo nudo, senza braccia e senza gambe, con ciuffi di peli grigi sul petto. Larve e formiche si rotolavano sulla carne dei moncherini.

"Ecco perche' mamma non vuole che usciamo di sera" disse Camilla. "C'e' gente brutta in giro. Gente brutta che fa cose brutte". "Magari e' stato lui a fare qualcosa di brutto" rispose Luigi. "E noi cosa facciamo?" chiese Camilla. Filippo percorse con lo sguardo tutta la catapecchia e torno' su di lei. Sorrise. "Devi baciarlo" disse. Camilla strinse i pugni. "No" rispose. "Se non lo baci, ti faccio male" continuo' Filippo. Con l'asse chiodata le sollevo' il lembo della gonna e Luigi vide ancora le ginocchia bianche. Lei tiro' su col naso. "Tieni chiusa la porta" disse Filippo a Luigi. Filippo non aveva mai avuto la voce cosi' roca. Luigi guardo' Camilla. Si appoggio' al legno. Sentiva un rigonfiamento nei pantaloni, respirava in fretta. "Bacialo" ordino' Filippo. "e' il tuo ragazzo". Camilla inizio' a piangere, piano, senza fare rumore. Si chino' davanti alla testa. Luigi immagino' che avesse chiuso gli occhi. Guardo' Filippo e vide che con la mano si stringeva tra le gambe. "Abbraccia il tuo ragazzo e bacialo". Camilla era piegata, la gonna si era sollevata ancora. Bacio' la testa del morto sulle labbra, e fu tutto. "Puoi andare a casa, Luigi" disse Filippo. "Vieni anche tu Camilla?" "No" interruppe Filippo. "Camilla resta qui con me. Vai".

Luigi suono' il campanello e la madre gli apri'. Era alla terza rampa di scale quando senti' l'urlo. Si fermo' un secondo con il piede sollevato sopra allo scalino, poi si giro' e corse giu', fuori, fino al capanno. Fece scivolare la porta sui cardini. Camilla era li', con le mutandine bianche abbassate alle caviglie. Teneva l'asse con entrambe le mani. Filippo era a terra, muoveva piano un braccio avanti e indietro e ogni volta arrivava vicino al corpo che avevano trovato nel sacco; li' la mano strisciava tra il sangue e gli insetti. Camilla sollevo' l'asse e colpi' Filippo al collo una volta, ansimo', un'altra volta, ansimo', lo colpi' ancora, poi si giro' verso Luigi e lo guardo' negli occhi.

Luigi fece un passo indietro, socchiuse la porta e torno' verso casa. Dal capanno si sentiva ancora il suono del legno che batteva sulla carne. Luigi penso' che avrebbe fatto lo stesso rumore se si fosse buttato dalla finestra, una volta che il sole fosse scomparso definitivamente.
Alessio Posar

.NOTA.
Alessio Posar e' nato a Bolzano nel 1990. Laureato in Filosofia, ha pubblicato racconti su diverse antologie e riviste, tra cui Lahar Magazine e L'Inquieto. Una sua sceneggiatura e' stata ammessa alla selezione ufficiale del TOHorror Film Fest 2014 di Torino, mentre una seconda ha vinto il primo premio al Festival del Cinema Povero 2015. Vive a Torino.

Spazzatura e' apparso per la prima volta nell'ultimo numero di Verde (luglio 2014, copertina e illustrazioni di Officina Infernale, con Gianni Solla, Simone Ghelli, Alda Teodorani, Andrea Frau, Simone Lucciola, S.H. Palmer).

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Fonte: Spazzatura (di Verde)
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