La storia della Settima Arte ci insegna che anche il piu' fedele tra i documentari e' un'abile opera di finzione: il regista decide di immortalare immagini scelte accuratamente, sottolinea determinati aspetti della realta' grazie a inquadrature specifiche, compie una cernita dettagliata sulle testimonianza da mostrare, taglia le interviste a suo piacimento e, proprio come se si trattasse di un gigantesco puzzle interattivo, manipola lo spazio-tempo di ogni singola sequenza attraverso il montaggio.
Cosi' anche se la cinepresa non danza freneticamente come accade nei lavori di Chaplin o Sorrentino, cio' che emerge dallo schermo non e' la riproduzione del reale, bensi' un effetto di reale, cui lo spettatore decide di credere, atto di fede implicito ma necessario alla visione.
Senza dimenticare quest'importante lezione, penso sia giunto il momento di fare un passo in avanti e iniziare a considerare certe pellicole non come mere finzioni, ma come strumenti conoscitivi che, attraverso la simulazione del reale, sono in grado paradossalmente di coglierne la verita' profonda, quella nascosta agli occhi delle persone, da decenni velati da un'ideologia di faustiana violenza.Questo e' proprio cio' che accade in Cowspiracy: il cinema documentaristico, in quanto evidente esercizio di illusione, riesce a farsi carico del luccicante vaso di Pandora e, con una potenza comunicativa senza pari, ne solleva il coperchio, rivelandoci alcuni dei mali presenti nel mondo. In questo modo la finzione cinematografica da semplice caricatura soggettivistica del reale diviene l'unico strumento efficace per la sua stessa profanazione, trasformando gli spettatori da inani 'credenti' a creature attive e senzienti, complici indiretti della funesta devastazione che viene messa in scena.
Ma andiamo nello specifico. Kip Andersen, co-director e protagonista della pellicola, dopo aver raccontato i suoi esordi d'attento ambientalista e membro dinamico delle principali organizzazioni ecologiste statunitensi, grazie a un rapporto delle Nazioni Unite scopre che l'allevamento del bestiame genera piu' gas serra dell'intero settore dei trasporti messo insieme e che il metano prodotto dal sistema digestivo animale e' cento volte piu' distruttivo rispetto all'anidride carbonica delle automobili, scoperte tragiche che lo stimolano ad approfondire le ricerche. Cio' che emerge ha dell'incredibile: gli allevamenti contano 32.000 milioni di tonnellate di anidride carbonica (CO2) l'anno, il 51% di tutte le emissioni di gas serra a livello mondiale; le industrie di latticini e carne usano il 30% di tutta l'acqua dolce del mondo.
L'aspetto piu' riuscito della pellicola, pero', non sono i dati o le statistiche, che i due americani sottolineano con efficacia, quanto la volonta' di andare alla ricerca dei motivi per cui le piu' grandi ONG ecologiste (Greenpeace in testa), che fanno della tutela dell'ambiente e degli animali il loro massimo ideale, non promuovano campagne di sensibilizzazione e informazione sulle nefaste conseguenze della zootecnia. Per quale ragione, si chiede Andersen, queste associazioni consigliano di ridurre lo spreco di acqua domestica, di spostarsi in bicicletta, di prestare attenzione ai rifiuti ecc. e non di evitare ogni prodotto di origine animale, quando mangiare un solo hamburger equivale a farsi la doccia per due mesi interi? Perche' sui loro siti il disastroso impatto ambientale degli allevamenti non e' nemmeno nominato? Da convinto e fiducioso ambientalista, Andersen contatta di persona i responsabili governativi di Save Our Water, Oceana, Amazon Watch chiedendo le motivazioni di tale reticenza e proprio questi incontri permettono alla pellicola di spiccare il volo: non si tratta piu' di sciorinare dati allarmanti, bensi' di andare alla ricerca del perche' siano tenacemente nascosti, quesito al quale gli intervistati, chiusi in un vulnerabile silenzio, decidono di non rispondere.
Proprio da tutte le spiegazioni non date, dalle false scuse accampate e dai giri di parole che Andersen intuisce la tragica verita': nessuno vuole parlare degli effetti catastrofici dell'allevamento - e con essi del dolore animale - poiche' si rischia di scalfire un vastissimo mondo sotterraneo d'interessi economici, politici e sociali, cui ogni singola esistenza e' sottomessa. Dopotutto, ci rivelano i registi, le piu' grandi fondazioni ambientaliste vivono grazie alle spontanee donazione di privati, che accettano con gratitudine e senza alcuna discriminazione il loro operato.
Oltre a tutto cio', Cowspiracy e' un emozionate racconto di formazione che descrive come Kip sia partito da interessi ecologisti per poi abbracciare il mondo del veganesimo e con esso uno sconfinato amore verso gli animali. In un panorama sempre piu' frammentato, nel quale le associazioni 'verdi' non comunicano con quelle antispeciste e viceversa, Andersen e Keegan Kuhn ci ricordano che stiamo camminando tutti sulla stessa strada e che basterebbe, una volta tanto, abbattere i muri divisori del rancore, della diffidenza e dell'egoismo per rendere, finalmente, il mondo un posto migliore.Alessandro Lanfranchi
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Fonte: Cowspiracy, Il Segreto Della Sostenibilita' (di Essere Animali)
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