Tornano sui nostri schermi gli ascolani Ufficio Oggetti Smarriti che, a distanza di un anno, offrono al nostro udito il loro secondo disco Pulpunklasnost.
Non a caso, sulla copertina, campeggiano le facce di Michail Gorbaciov e Sid Vicious su delle sagome di tarantiniana memoria. E lasnost ci rimanda all'operato del politico russo che rivoluziono' l'U.R.S.S. con la perestrojka e con la glasnost, ovvero l'ampliamento delle liberta' individuali dei cittadini sovietici.
Messi da parte riferimenti storici e politici, andiamo a sminuzzare con attenzione questo disco che, concordando con Joel, possiamo, per amore degli amanti delle etichette, inserirlo nel filone post-punk o comunque in quella cerchia di musica dove il cantato ha una grande autonomia, spesso risultando dissonante con la parte strumentale.
La line-up e' cambiata, Brigate 1 lascia il ruolo di voce e basso a =68653, la voce narrante di M. c'e' ancora e quindi ci accompagnera' anche stavolta nell'ascolto delle tredici tracce, per una durata complessiva di mezzora circa.
"Niente" apre le danze, durando appena un minuto, e ci introduce alle sonorita' del gruppo che non si distanziano da quelle del precedente disco, sottolineando un'insoddisfazione di fondo che perseguita anche chi crede di essersi liberato di tutto.
"Memorie dall'oltretombola" calza a pennello col clima natalizio che ormai e' alle porte, una ritmica ripetitiva, ed a tratti alienante, fa da sfondo ad un incontro forzato tra due persone che non hanno piu' nulla da dirsi.
Anche in "Signorina Never", pezzo presente gia' nello scorso disco, risalta il tema del rapporto con gli altri, magari con un amore, caratterizzato da incomprensione e delusione.
"Vacanze al sesto piano" si caratterizza per una parte strumentale piu' vivace ed un testo introspettivo, alla ricerca di se stessi in un contesto che ci priva di ogni connotato.
"Il cadavere di Dylan Thomas", pezzo che figura anch'esso nel primo album, consiste in una messa in musica e parole della morte del poeta Dylan Thomas, precoce poeta e scrittore gallese che si spense a New York in condizioni di salute davvero critiche all'eta' di trentanove anni. Cantato e musica risultano davvero ben integrati, confermo l'apprezzamento che gia' avevo espresso a riguardo un anno fa.
"Confiteor elettrico" demolisce la formula di penitenza tanto cara alla liturgia cattolica, proponendo una morale tendente ad una misantropia di fondo, star bene solo lontani dalla gente.
"Legami" ci trasporta virtualmente a Gaza, sotto un cielo attraversato da caccia militari, per poi fare un blitz in una Praga sessantottina il tutto su note dilatate e dalla cadenza ossessiva.
Tempi piu' veloci ed un cantato piu' dinamico in "La dimensione delle cose", trasmettono l'immobilismo della realta' circostante e i diversi approcci che possiamo assumere nei confronti di quanto ci circonda.
"Decrescita" risulta molto apprezzabile dal punto di vista sia del testo, mi piacciono le scelte linguistiche, ed anche della parte musicale, calzante rispetto a quanto si proclama. Un inno alla decrescita che analizza diversi momenti della vita, spesso in conflitto tra di essi.
Anche "Tutto il silenzio del mondo" fa parte del precedente album e, in particolare, credo sia il pezzo che si avvicina decisamente di piu' allo stile dei piu' noti Offlaga Disco Pax. Una lista di cose o di personaggi che per motivi diversi si relazionano, direttamente o no, con le nostre vite di tutti i giorni.
"Perturbazione" viaggia su ritmi incalzanti e puntuali, la voce si adegua e si intreccia a dovere con le note e la perturbazione, chiaramente sonora, arriva solo alla fine.
"Atto unico di madre vedova", penultimo pezzo anche questo gia' incluso nello scorso album, sfiora i cinque minuti e ci proietta in un'atmosfera davvero opprimente che rimarra' costante per tutta la durata della canzone, interessanti alcune parti del testo e sicuramente inaspettata, nel finale, la rivisitazione di "Where is my mind?" dei Pixies.
Ed eccoci alla fine con, per l'appunto, "...E alla fine arriva la fine" che e' il racconto di una fuga gia' fallita in partenza, una fine che e' solo apparente per chi, quando le note saranno finite, aspettera' che i secondi scorrano tutti per sentire un coretto molto particolare, vi lascio con la curiosita'.
Arriva il momento dei saluti..vabe', magari saltiamolo. Certo, come dice anche il caro e mai troppo insultato Joel, forse siamo un po' rozzi per avere le orecchie adatte a suoni e testi cosi' criptici all'apparenza, o forse no. Questa volta non mi pronuncio e, lasciando aperto il giudizio su questo album, spero che magari qualcuno dica la sua e magari da li' discuterne insieme.
Sghigno

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