E' quello che, nel mio piccolo, vorrei fare con questa recensione; rendere omaggio a un gran gruppo, e a uno di loro, prematuramente scomparso lo scorso Ottobre.
Loro sono gli Alzheimer, vengono dalla provincia di Cagliari e suonano insieme dal 1999.
Questo e' il loro primo lavoro, uscito nel 2005, nel 2008 e' uscito il secondo, un mini-cd presto scaricabile anche quello da queste pagine virtuali. Nel corso degli anni alcuni componenti son cambiati, per questo album il gruppo era composto da Mauro e Davide alla voce, Bebbo e Giovanni alla chitarra, Obe al basso e Matteo alla batteria.
Cinque tracce in tutto, un misto di sensazioni cupe trasuda dai testi, piccole poesie intimiste; dai suoni taglienti, veloci e improvvisamente lenti, poi ancora veloci, senza lasciar spazio a gioie e sorrisi. Le due voci si intrecciano in perfetta alchimia, urla disperate che a tratti si placano, come a riprendere le sensazioni di una sfuriata che finisce lasciandoti stanca a rimurginare. La musica non e' da meno, accompagna con perfezione e incanto, creando cosi' un piccolo gioiello, che nella materialita' e' solo un cd di plastica, ma all'interno e' pura passione.
L'album si apre con "Asfodeli", subito suono compatto, che pian piano rallenta a scandire le parole: "L'animale che lotta perche' sopravissuto, ha ancora qualcosa da dire...Non e' tempo per la fine, finalmente io sono". Allo stesso modo inizia "Danza D'Ottobre", "C'e' chi non sanguina e sparisce senza lasciare traccia e c'e' chi si avvinghia alla carcassa sofferente, ma dentro solida del proprio Io".
Il ritmo si fa piu' cadenzato in "Vuoto Carico", che pare una scheggia tra le altre tracce, forse anche per la sua durata inferiore..."Vivo, appeso, ad insignificanti fili che tutti distruggono, poiché insignificanti".
Intervallate dai rumori di un temporale, le ultime due tracce sono piu' ballata metal (passatemi il termine). "Nadyr", "La sconfitta e' una voragine, la resa il mio suicidio quotidiano, le azioni rese vane, dalla mia testa vuota", e soprattutto "Medea", l'ultima traccia a mio parere anche la piu' mesta, che inizia con delle angoscianti note di chitarra per esplodere in una accecante solitudine.
Un album estasiante, che lascia addosso una forte inquietudine, una raffica di sensazioni tendenti al nero, il colore dell'abisso, del buio, e al rosso, il colore della passione e del sangue.
Ma nell'inadeguatezza verso voi stessi ricorderete "che fra la cenere cova spesso la scintilla" (Grazia Deledda), e vi tornera' in mente un verso: "Cio' che ci separa dalla resa e' il fiume della passione...".
Ciao Mauro.
neropresente

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