Individuare i colpevoli del tracollo del punk non e' poi cosi' complicato: da una parte un altro genere musicale, il Rap/Hip-Hop, ha preso il suo posto come genere di protesta, dall'altra la stessa sottocultura punk non ha saputo riciclarsi, rinnovarsi, stare al passo coi tempi e aggiornare i propri contenuti. Perche' parliamoci chiaro, una sottocultura muore quando il contenuto diviene inferiore rispetto alla forma. Quei pochi ragazzi che attualmente si avvicinano al punk non hanno dei veri e propri obiettivi rivoluzionari, si vestono come pagliacci scappati dal circo Medrano alla disperata ricerca di attenzione e forse di qualche dose. Non c'e' da stupirsi quindi che la sottocultura punk stia toccando, proprio in questi anni, il punto piu' basso della sua parabola discendente.

Ora voi obietterete che e' facile criticare e lamentarsi senza costruire. E avete ragione. Proprio per questo non si puo' rimanere con le mani in mano, aspettare ancora in attesa che i germi infettino quel poco che del punk e' ancora rimasto in salute. Tale guida nasce proprio per questo fine, chiarire cosa sia veramente il punk per riscoprirlo sotto una luce diversa. In generale, ha il fine di rilanciarlo dopo un periodo di depressione autoindotta che lo sta reprimendo da piu' di 15 anni. Procederemo per gradi, citando prima una qualita' che il punk non ha, ma che spesso gli viene attribuita erroneamente dal senso comune, oppure alcune qualita' che ha assunto col tempo ma che non sono corrette, poi il suo contrario, ossia cio' che e' realmente o che dovrebbe essere. Mettetevi dunque comodi.


1) Il punk non sono i Sex Pistols. Il punk e' una sottocultura "complessa"

Oggi abbiamo deciso di applicare il metodo della terapia d'urto, percio' vogliamo iniziare confutando una delle convinzioni piu' inossidabili di tutto l'universo musicale: il punk non sono i Sex Pistols. I quattro ragazzacci inglesi sono diventati delle icone della cultura punk e ancora oggi vengono citati, assieme ai The Clash, come i massimi esponenti di questo genere soprattutto a livello mediatico. Ma la vera domanda da porsi e': i Sex Pistols hanno fatto piu' bene o piu' male alla scena punk? La risposta e' purtroppo negativa.

Non per colpa loro, sia chiaro, ma per colpa del loro manager Malcolm Mclaren. Fu lui a creare il gruppo, andando a reclutate dei teppistelli di quartiere e mettendogli degli strumenti musicali in mano, tutto cio' per fare pubblicita' al suo negozio dove vendeva materiale sadomaso. Non appena il gruppo inizio' ad ingranare Malcolm e la moglie Vivienne Westwood, una stilista molto sui generis, decisero di ideare il look del gruppo che da li' a poco divenne la moda assunta da gran parte dell'universo punk.

Fu proprio questo l'errore imperdonabile. Malcolm trasformo' un movimento che aveva gia' i suoi obiettivi e i suoi principi in una specie di circo, composto da personaggi dalle dubbie capacita' cognitive, tossici, perdigiorno e casi umani, tutti vestiti con indumenti sadomaso, talvolta adornati da cimeli nazisti (ironia che all'epoca non molti compresero). Piu' che apparire come ribelli determinati a soppiantare le iniquita' della societa' borghese anglosassone, i seguaci dei Sex Pistols apparivano piu' come un'armata di ragazzini in cerca disperata di attenzione e/o affetto.

Non soggetti mossi dall'impeto del cambiamento, ma soggetti socialmente pericolosi e a tratti ridicoli: cosi' vennero bollati molti Punkers (non tutti ovviamente) nel Regno Unito dal '77 fino al '79. Ma i veri problemi non riguardavano tanto la nomea che il movimento punk si era creato al di fuori di se', i problemi grossi provenivano dall'interno: la moda fine a se stessa aveva ormai preso il sopravvento, le vere ragioni della nascita di un genere cosi' aggressivo, rapido, sferzante e ribelle erano gia' passate in secondo piano, se non addirittura gia' dimenticate. Fu questo il vero motivo per cui l'originale movimento punk, anche chiamato Punk '77, mori' nell'arco di soli tre anni.

Ciononostante sarebbe sbagliato ignorare o svilire il fenomeno punk, a prescindere dal prematuro fallimento dei suoi primi protagonisti. Lo abbiamo gia' detto prima: non e' una moda, non e' solo un genere musicale. E' una sottocultura complessa, fatta di valori e di principi riassunti in uno stile musicale, ma da esso indipendenti. I valori rispecchiano la rabbia troppo a lungo repressa, la quale viene diretta verso due direzioni: da una parte verso la borghesia e la sua ipocrisia fatta di protocolli e formalita', contro il capitalismo e le sue ingiustizie, contro le istituzioni inadeguate e repressive. Dall'altra contro la rivoluzione del '68, rea di non aver portato i cambiamenti promessi e non aver stravolto la societa' inglese. In tal senso sarebbe sbagliato incastonare il punk nella sola corrente anarchica.

L'anarchia fu solo una deriva del punk che nella sua piu' profonda natura avrebbe potuto prendere decine e decine di declinazioni differenti. L'anarchia predicata, peraltro in modo molto confusionario, in lungo e in largo dai Sex Pistols non puo' e non deve rendere giustizia all'importanza che ebbe il manifestarsi di una sottocultura cosi' esplicitamente rivoluzionaria nella gioventu' d'oltremanica degli anni '70: essa fu un sintomo di un'insoddisfazione ben piu' profonda, figlia di politiche economiche e sociali che aveva distrutto e recato danno ad una grande parte del paese, coincidente quasi del tutto con la Working Class.


2) Il punk non e' musica per "centri sociali". Il Punk e' Working Class e "fuga borghese"

Probabilmente nessuno ha colto fino in fondo il potenziale della sottocultura punk di smuovere e animare le masse. Proprio per questa negligenza il punk sta marcendo in una piccola soffitta buia, sporca, putrida e maleodorante, altresi' chiamata "cultura antifascista". C'e' poco da fare, oramai se un amante del genere vuole godersi della buona musica punk, che sia d'autore o semplicemente delle cover, deve tapparsi il naso, armarsi di tanta pazienza e recarsi in un centro sociale sfidando la logica e il parere dei medici. Piange il cuore nel vedere il contrasto interno che si e' venuto a creare: e' visibile una vera e propria spaccatura se si confrontano i testi delle canzoni di vecchie band anni '70 e '80, come i Bad Religion, i Dead Kennedys, Uk Subs oppure i Minor Threat che inneggiavano e promuovevano un certo stile di vita autenticamente anticonformista, con la realta' odierna, mix di un falso quanto inconcludente anarchismo e di un nichilismo che di nichilista non ha nulla se non l'uso di droghe per sfuggire dalla realta'. Questo e' il Punk odierno, scaduto nel piu' becero anarchismo di sinistra.

Lasciamo quindi per un attimo i nostri amici anarchici nei loro tuguri e chiediamoci qual e' il giusto luogo in cui il punk dovrebbe manifestarsi e chi siano i suoi veri protagonisti. Il punk non nacque per un divertimento, nacque per una necessita'. La necessita' di gridare al mondo la rabbia per una condizione che era sempre piu' sulla via della degenerazione: stiamo naturalmente parlando della situazione della Working Class inglese alla fine degli anni '70. Senza entrare troppo nello specifico vi basti sapere che i membri della Working Class di sua Maesta' la Regina Elisabetta non se la passavano molto bene in quegli anni. Forte disoccupazione, salari minimi, politica economica caratterizzata dal liberismo reazionario sfrenato della Thatcher.

E' un dato di fatto che tra la Thatcher e i membri delle classi inferiori non scoppio' mai l'amore. In questo contesto si affermo' il punk, non solo come valvola di sfogo per i giovani ribelli, ma anche e soprattutto come cassa di risonanza mediatica per far risaltare le richieste delle classi lavoratrici. Tutto cio' venne poi in parte ripreso anche dall'Hardcore Punk americano di inizio anni '80 (seppur con le dovute distinzioni, poiche' spesso nell'Hardcore Punk i testi si limitano a presentare una generica misantropia). Sempre in Inghilterra, proprio per il carattere affine con le istanze della Working Class, il punk venne assunto come genere ufficiale da gran parte dei gruppi Skinhead di tutte le fazioni politiche. In questo modo nacque il genere Street Punk e soprattutto il genere Oi!, ancora oggi molto in voga solamente (purtroppo!) nei movimenti di estrema sinistra e destra. Tuttavia nei gruppi punk non militavano solo i membri delle classi meno abbienti. Partecipavano anche i cosi' detti "borghesi in fuga", ossia giovani appartenenti alla classe borghese che non si sentivano a loro agio nel vestire i panni del classico ragazzo di buona famiglia. Ragazzi che volevano respirare aria nuova in un ambiente nuovo, un'aria di ribellione, di anticonformismo, immersi in un nuovo genere musicale adrenalinico.

Cosa ci deve insegnare questa lezione? Innanzitutto, come abbiamo visto prima, il punk non e' solo per i finti anarcoidi ma anzi nasce da una costola della Working Class. In secondo luogo, contrariamente a quanto si pensa, il Punk e' un genere per tutti. Ma davvero tutti. Non esistono, anche se qualcuno ce l'ha fatto credere, limitazioni di tipo classista nel punk. Chiunque, operaio o borghese, anarchico o fascista, bello o brutto, rozzo o acculturato, biondo o bruno puo' partecipare alla "grande festa" del punk, purche' ne condivida i valori di base.


3) Il punk non e' utopia. Il punk e' Praxis

Piu' volte il punk e' stato accusato di essere stato "socialmente" inconcludente, di essere nato da presupposti utopici ed aver fallito in tutte le sue promesse. Mai falsita' fu piu' grande. Riprendiamo le nozioni di Praxis e Utopia cosi' come le aveva teorizzate Antonio Gramsci (filosofo che con il punk non c'entra naturalmente nulla ma che puo' aiutarci nel superare certe false accuse): il movimento punk e' stato, se cosi' vogliamo definirlo, uno dei movimento giovanili che meglio ha incarnato la nozione di Praxis in opposizione all'utopismo di una certa sinistra. Il punk ebbe molto successo proprio perche', a differenza di altri che promuovevano progetti utopici a lungo termine sul riscatto della classe lavoratrice, offriva invece una via d'uscita estremamente pragmatica, incentrata tutta sull'agire. Non c'erano grandi utopie dietro le richieste dei Punkers: "vogliamo i nostri diritti e li vogliamo subito!", questa era l'unica richiesta, l'unico progetto da concretizzare.

Smuovere l'opinione pubblica con l'aggressivita' di chi non ha piu' molto da perdere e con "l'istinto finalistico", ossia l'istinto libero di sfogarsi attraverso la musica ma indirizzato all'ottenimento di un fine superiore. Questi erano i mezzi che il punk aveva a disposizione. Purtroppo, come ogni movimento spontaneo senza alle spalle una base teorica forte, la sottocultura punk fini' per sgretolarsi in una infinita' di fazioni, ciascuna con posizioni diverse. Il fallimento politico su larga scala e a lungo termine del punk come sottocultura non deve pero' trarci in inganno: le premesse non vennero tradite. Il movimento ottenne nell'immediato quello che voleva, ossia caos e ribellione, rivoluzione dei costumi e apertura da parte delle classi reazionarie (la quale giunse negli anni '80). Insomma, le istanze di quei Punkers che non volevano solo spaccare tutto senza un perche' (vedi Anarchy in the Uk dei Sex Pistols) ma invece volevano ottenere qualcosa di socialmente utile, vennero in parte soddisfatte.


4) Il punk non e' grunge. Il punk anni '80 e '90 e' nausea della globalizzazione

Riteniamo che questa sia una distinzione doverosa. Spesso infatti i due generi vengono non solo confrontati fra loro e sovrapposti, ma addirittura confusi. Se qualche vostro amico dovesse sostenere che i Nirvana e gli Alice in chains fossero gruppi punk o derivati dalla tradizione punk, sarebbe giusto punirlo corporalmente. Un errore del genere e' imperdonabile, non tanto dal punto di vista musicale dove le differenze sono gia' evidenti (basti pensare, ad esempio, alla differente velocita' del ritmo), ma soprattutto a livello culturale. Il grunge nacque in un periodo diverso (gli anni '90) e in un contesto diverso: una fase in cui i giovani, i ragazzi nati nella Generazione X, sentivano di dover esprimere il loro odio incondizionato verso ogni forma di vita esistente sulla faccia della terra e dell'universo umanamente conosciuto. Il grunge aveva visto nascere le proprie radici dall'insofferenza esistenziale di una intera generazione persa nel nichilismo.

Dal canto suo anche il Punk tra gli anni '80 e l'inizio anni '90 subi' notevoli trasformazioni: gli obiettivi contro cui erano dirette le critiche non erano piu' i governi reazionari dei singoli Stati, ma le nuove iniquita' nate dalla globalizzazione e dal turbo-capitalismo delle multinazionali. Il sentimento di nausea percepito aumento' a dismisura, tanto da rendere nemico dichiarato del punk praticamente ogni istituzione esistente: dagli Stati nazionali, alle grandi aziende e gli industriali, dalla religione fino al mondo accademico e scientifico, nessuno era piu' al sicuro. Tutti erano bersagli della rabbia di una sottocultura che nell'ultimo decennio aveva visto moltiplicarsi, invece che diminuire, i propri nemici. E' dunque evidente come il pensiero sotteso al genere grunge risulti incompatibile con quello del punk anni '80 e del Revival Punk anni '90. Mentre il primo era approdato ad una rabbia piu' di tipo privato ed esistenziale, il punk, nonostante i cambiamenti che nell'ultimo decennio si erano avvicendati, era sempre rimasto ancorato ad una dimensione piu' politica e di rilancio sociale. Bisogna tuttavia ammettere che anche nel punk si acui' la componente nichilistica, sebbene cio' non sia da imputare ad un reciproco condizionamento tra punk e grunge, quanto piuttosto ad una tendenza comune a molti giovani di quel periodo.


5) Il Punk non e' morto, perche' il Punk e' un sentimento trasversale

Quante volte avete sentito la frase "Punk is not dead"? Piu' o meno tutti coloro che sono rimasti affezionati al genere la ripetono dal giorno alla notte, con leggerezza, senza troppa convinzione. Sarebbe certamente piu' indicato, invece di ripetere continuamente un mantra solo per auto-convincersi che il punk non sia morto, ammettere l'inevitabile: il punk se non e' ancora morto e' quanto meno in prognosi riservata, rannicchiato su un lettino aspettando che qualcuno stacchi la spina. Noi invece vogliamo fare qualcosa di ancora diverso: vogliamo affermare che effettivamente il punk non e' morto e vogliamo affermarlo con cognizione di causa.

Arriviamo quindi al termine della nostra guida, concludendo con l'argomento sicuramente piu' pregnante che riguarda il punk: perche' il punk non e' morto? La motivazione risiede nel carattere trasversale del sentimento che e' al suo fondamento. Non solo, come ricordavamo prima, i valori del punk possono essere condivisi da tutti a prescindere dall'estrazione sociale di ciascuno, ma essi trascendono anche i singoli contesti e le generazioni. In altre parole, la trasversalita' del punk si incarna nel sentimento di ribellione verso tutti sistemi imposti, nella volonta' di de-costruire (nel senso post-modernista del termine) mattone per mattone tutti i costrutti sociali ritenuti inadeguati. Tale volonta' trascende il contesto sociale e storico del momento, si ripete ciclicamente di generazione in generazione innescando nuovi attriti tra, citando nuovamente Gramsci, apparato egemonico e opposizione, in una infinita dialettica del contrasto.

Finche' ci saranno opposizioni, finche' ci saranno elementi non allineati con la struttura egemonica, finche' ci sara' lo scontro tra reazione e progresso allora ci sara' anche il punk. Vediamo di farla ancora piu' semplice: finche' ci saranno ragazzi che si sentiranno rigettati dalla societa', che prenderanno in mano degli strumenti, si chiuderanno in un garage o in una cantina e urleranno in un microfono tutta la loro rabbia, allora ci sara' il punk. Perche', alla fine di tutto, il punk nasce da questo, da ragazzi in un garage con poca abilita' nel suonare ma con tanta rabbia da esprimere. Perche' solo riscoprendo le proprie origini il punk puo' ritornare dove merita: sui palcoscenici o per le strade, a dare voce a chi ne ha bisogno, a dare voce a chi voce non ne ha.
Matteo Persico

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Fonte: Guida Pratica Alla Riscoperta Del Punk (di L'Intellettuale Dissidente)
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