E' molto piu' vero, piu' reale, piu' palpabile e sincero il dolore di una madre rispetto a qualsiasi nobile quanto utopica ideologia. Il volgare gioco di ruolo del "noi-contro-di-voi", la "verita'" contro il "nemico", semplicemente non esisterebbe se si osservasse sempre il mondo in quest'ottica; un'ottica semplice quanto universale, che non da' mai ragione o torto ma si limita a spiegare i punti di vista.
Il libro del figlio del commissario Calabresi, attualmente giornalista di Repubblica, ricrea l'intreccio degli anni di piombo incentrandolo sulle vittime del terrorismo di ogni ideologia, puntando la lente d'ingrandimento sui parenti dei morti ammazzati, quelli che muoiono anche rimanendo al mondo e che, con ordinata insistenza, lo stato ha dimenticato e abbandonato negli anni.
La lista degli uccisi e' veramente lunghissima (ne allego alcuni in calce all'articolo) e la maggior parte dei nomi sono assolutamente sconosciuti ai piu', me compreso. Si parte ovviamente da Giuseppe Pinelli e Luigi Calabresi, passando per Aldo Moro, ma si citano anche vittime dimenticate, uccisi a volte per motivi tanto futili da risultare oggettivamente assurdi: un caso su tutti, ad esempio, quello del dottor Luigi Marangoni, direttore sanitario del Policlinico di Milano, ammazzato dalle Brigate Rosse perche' reo di aver denunciato alcuni sabotaggi compiuti da dipendenti dell'ala Autonoma, all'interno della sua struttura, che staccavano la corrente ai frigoriferi del sangue per le trasfusioni.
L'autore mette in luce come lo stato sia sia sistematicamente dimenticato dei parenti dei suoi servitori uccisi (come delle altre vittime), non fornendo alcun tipo di supporto, ne' umano ne' monetario. Una colpa veramente ingiustificabile ed imperdonabile, nel suo essere sprezzatamente inumana. E' vergognosamente d'esempio la storia di Antonia Custra, figlia del vicebrigadiere Antonio Custra, ucciso negli scontri di Via de Amicis, a Milano, il 12 maggio 1977 (la foto di Giuseppe Memeo, compagno dell'assassino di Custra, Mario Ferrandi, con la Beretta in mano in posizione di mira e' diventata una vera icona storica): diplomata al classico e studentessa universitaria di sociologia, dopo essere stata inizialmente ignorata ed abbandonata a comprensibili problemi psichici e fisici, s'iscrive ad un concorso pubblico da dipendente statale ed ottiene quello che dovrebbe essere il trattamento di favore riservato ai parenti delle vittime del terrorismo; come lavoro, pero', le viene proposto lo spazzino, in un colloquio descritto nelle pagine del libro come semplicemente umiliante. Antonia, ad ogni modo, non puo' fare altro che accettare a testa bassa e con umilta' la generosa offerta dello stato che suo padre ha servito sino alla morte.
Per quanto riguarda l'assassinio dell'anarchico Pinelli, Calabresi dipinge suo padre come un amico della vittima, il quale, come ha testimoniato anche Marco Pannella in un'aula di tribunale, lo indicava come "una bravissima persona", gli faceva regali e gli permetteva di marciare al suo fianco ai cortei. Il giornalista ci ripropone, poi, quella che e' la tesi ufficiale: un semplice, sciagurato, malore.
Per smontare tutte le teorie accusatorie, fra cui quelle del colpo di karate e del siero dell verita', Mario ci racconta di un incontro privato avuto con Gerardo D'Ambrosio, uno dei giudici che indagarono sulla strage di Piazza Fontana e che emisero la sentenza che scagiono' la matrice anarchica; quest'ultimo snocciola tutte le prove, oggettivamente credibili, raccolte negli anni a favore dell'innocenza del commissario della questura di Milano, tra le quali alcune voci che testimoniano la sua lontanza dalla stanza dell'interrogatorio al momento della disgrazia, e spiega come le vere cause del defenestramento del povero Pinelli sembrino esser state il digiuno, i tre giorni ininterrotti passati in caserma, i lunghi interrogatori, lo stress ed il famoso caldo di quella notte. Tutti questi fattori portarono alle vertigini ed al malore del ferroviere, che si accascio' sul davanzale per poi finire quattro piani piu' sotto, spiaccicato sull'asfalto.
Personalmente, con gli anni ho imparato a dubitare di ogni verita', venga essa dagli amici o dai nemici, e quindi ho letto con curiosita' questi capitoli, da convinto accusatore del commissario Calabresi, scoprendomi anche piu' ignorante in materia di quanto credessi. Alla fine, comunque, continuo a non sapere cosa credere: le indagini della magistratura risultano onestamente credibili ma mi permetto comunque di obiettare che, anche senza qualcuno a lanciarlo fisicamente giu' dalla finestra, il povero Pino e' pur sempre morto innocente, ucciso dai metodi della polizia e dello stato e dal loro pietoso tentativo di addossare la colpa di un attentato fascista a chi piu' gli tornava comodo per i loro giochi di potere e di paura.
Tornando a "Spingendo La Notte Piu' In La'", il libro affronta anche il tema del "reinserimento" dei terroristi, che una volta scontata la pena si ritrovano ad essere coccolati dai media e dall'opinione pubblica come "eroi romantici", individui che hanno fatto cio' che han fatto perche' "la storia voleva cosi'"; si parla delle scarcerazioni anticipate, delle grazie, dei ruoli istituzionali assegnati ad ex-brigatisti o presunti stragisti di destra. Il tutto, ovviamente, osservato dalla parte dei parenti delle vittime, che si sentono morire un'ennesima volta nel vedere l'assassino di un proprio caro uscire anticipatamente dalla galera, o raccimolare fortune grazie ai servizi televisivi.
La mia opinione a riguardo e' abbastanza scontata: la vendetta non fa parte della giustizia e privare un individuo della propria liberta' per 10 o 20 anni piuttosto che per 40 o 50, non fa' tornare in vita i morti, non cancella i torti della storia e sicuramente non insegna niente a nessuno. E' solo il vile modo che ha la societa' per sentirsi "al sicuro", per proteggere la normalita' costituita e punire chiunque decida di vivere al di fuori di essa. Il discorso, pero', e' delicato e sottile e, nonostante la mia premessa, rimane un punto fermo del mio modo di vedere le cose (e spero anche di quello di voi altri la' fuori) che qualunque azione ferisca, uccida o vada a rovinare o intaccare la vita di un altro essere umano, per quanto lo si possa bollare come "nemico" (della patria, dell'ideale, della rivoluzione, di quel che volete voi), sia deprecabile e sbagliata, qualsiasi sia l'ideale che ci si tiene annodato attorno al cuore.
Come ho sentito, a grandi linee, dire a Mario Calabresi in un'intervista televisiva (credo a "Niente Di Personale", su La7 condotto da Antonello Piroso): "Chi uccide e chi prende la strada della lotta armata e' libero di decidere, mentre chi muore non ha scelta". L'unica vita di cui dovremmo disporre liberamente, quindi, sempre a mio modesto avviso, e' la nostra, e chi vuole sacrificarsi interamente per una qualche ideologia ha la facolta' di farlo mettendo in gioco solo la propria pelle, per quanto disprezzabile possa essere quella dell'avversario di turno.
Comprendo e rispetto, quindi, il dolore e la rabbia dei parenti delle vittime di fronte a certi accadimenti, perche' e' un dolore umano e vivissimo, ma non posso certo affermare che alimentare la spirale d'odio possa essere un buon modo per arrivare, prima o poi, ad un qualche cambiamento.
Proprio su questo piano di cose si pone il secondo filo conduttore del libro, nascosto tra le righe: la figura umana di Mario Calabresi e di tutta la sua famiglia. Il giornalista e', a mio modo di vedere, un uomo veramente unico e coraggioso. Un grande uomo, mi verrebbe da dire, dopo aver letto cio' che scrive ed averlo sentito parlare in televisione. Un uomo che mi piacerebbe definire semplicemente "buono", perche', come diceva De Andre', "Inumano e' pur sempre l'amore // di chi rantola senza rancore // perdonando con l'ultima voce // chi lo uccide fra le braccia d'una croce". Calabresi e' un uomo che ha sofferto profondamente, oltre quanto io possa sinceramente immaginare, ma ha scelto la via della comprensione, dell'intelligenza, del confronto e della vita; una strada che richiede una forza immensa, di testa e di cuore, per poter essere percorsa. Una strada che molti nella sua stessa condizione, come suo fratello ad esempio, non hanno voluto o avuto il carattere di scegliere.
L'autore parla con serenita' e con pacatezza degli anni di piombo, dell'omicidio di suo padre e della campagna mediatica portata avanti da Lotta Continua, che probabilmente lo condanno' a morte. Ne parla in maniera tanto distaccata, ma al tempo stesso piena di ricordi e sentimenti, da risultare certe volte incredibile. Dopo l'assassinio del padre avrebbe potuto chiudersi nel suo bozzolo e decidere di odiare tutti coloro ne stavano all'esterno, ma invece e' riuscito a continuare a vivere, a continuare a lottare, ma non in nome di un odio cieco e senza via d'uscita.
Il comportamento di tutta la sua famiglia e' straordinario: la povera madre e' riuscita a tirare fuori la testa dal suo male, ad innamorarsi di un uomo di estrema sinistra, Tonino Milite, per giunta pittore e poeta (non certo poliziotto), ed a superare una montagna di ostacoli e differenze: quelle stesse differenze che hanno ucciso Giuseppe Pinelli e suo marito, Luigi Calabresi. Si e' risposata, ha avuto un altro figlio, Uber, ed e' riuscita ad imparare la dimenticata arte del confronto, dell'umanita' e dell'uguaglianza, quella vera, che tiene a mente anche le diversita'. Forse, in fondo, tutta quella sofferenza e' servita a questo.
Tirando le somme, "Spingendo La Notte Piu' In La'" e' un libro, comunque, piacevole e ben scritto, oltre che sufficientemente corto; e' un'opera che tutti noi, giovani, anarchici, comunisti, fascisti ma anche italiani-medi-ignoranti dovremmo leggere, per capire veramente gli errori del passato (quelli di cui non si parla a scuola e si parla poco anche in tv) per evitare che la storia continui, schifosamente, a ripetersi. Mario Calabresi e' un uomo che, sua sfortuna, ha veramente la capacita' e le prove per dare un senso a tutte quelle frasi vuote, sentite e stra-sentite, che raccontano della "forza dell'amore" e dell'arbitrarieta' della scelta tra sofferenza e felicita'. Insomma, quello che ho tra le mani e' un bel libro, sincero e singolare, scritto in maniera pulita e semplice, che unisce un importante affresco storico ad un'inusuale insegnamento umano.
Semplicemente da leggere, in onore di tutti i morti innocenti.
sberla54

.NOTA.
Il titolo del libro viene da dei versi del gia' citato Tonino Milite, raccolti nell'antologia "L'Intermittenza Del Giallo": "Passa una vela, spingendo la notte piu' in la'"

.PER L'ACQUISTO.
Potete acquistare il libro su IBS a 14,50 euro.
Su CentoLibri (portale Mondadori), invece, e' disponibile anche la versione con in allegato il dvd dello spettacolo di Luca Zingaretti, ispirato al libro; il tutto a 19 euro.

.ALCUNE DELLE VITTIME DEL TERRORISMO CITATE NEL LIBRO.
Giuseppe Pinelli - Ferroviere anarchico, ucciso il 15 dicembre 1969.
Luigi Calabresi - Commissario di polizia, ucciso il 17 maggio 1972.
Aldo Moro - Presidente del partito della Democrazia Cristiana, ucciso il 9 maggio 1978.
Antonio Custra - Poliziotto della celere, ucciso il 14 maggio 1977.
Luigi Marangoni - Dottore e direttore sanitario del Policlinico di Milano, ucciso il 17 febbraio 1981.
Marco Biagi - Professore, economista e giurista, ucciso il 19 marzo 2002.
Massimo D'Antona - Giurista e docente, ucciso il 20 maggio 1999.
Carlo Casalegno - Giornalista de "La Stampa", ucciso il 29 novembre 1977.

.VIDEO.
Mario Calabresi - Ricordo di Luigi Calabresi a Ballaro'
Intervista a Mario Calabresi

.LINKS.
Wikipedia Autore: Mario Calabresi su Wikipedia
1977 su Wikipedia
Lista delle vittime degli anni di piombo e della strategia della tensione su Wikipedia
Cronologia delle vittime italiane del terrorismo nel secondo dopoguerra su Wikipedia
Omicidio Calabresi su Wikipedia
Strage di Piazza Fontana su Wikipedia
Gli anni di piombo su Wikipedia
Il terrorismo italiano su Wikipedia
Foto di Giuseppe Memeo, con la Beretta in mano, mentre spara durante gli scontri del 12 maggio 1977 a Milano
Le Brigate Rosse su Wikipedia
I Proletari Armati Per Il Comunismo su Wikipedia