Sarei un vegano pragmatico: sulla bilancia etica il non mangiare animali pesa. Poco, molto poco per il mio sistema di valori, ma pesa. E questo poco cerco di agevolarlo come posso, mangiando relativamente poca carne, mangiando soylent vegan per un numero considerevole di pasti settimanali (4-5 al momento) e, complice un principio di intolleranza, minimizzando i latticini. Lascio principalmente la carne per le occasioni sociali o per i ristoranti seri dove precludermi le opzioni non veg vorrebbe dire perdersi lati importanti della nostra cucina.

Questa sera avevo proprio voglia di un bel piatto di verdure o di una zuppa. Ci siamo quindi recati in un ristorante vegano del centro di Milano da cui siamo immantinente scappati non appena abbiamo visto insegna e menu' esposto tappezzati di scritte come "bio","organic" e "Km. 0", oggetto di un mio personale boicottaggio delle pratiche di marketing alimentare che ritengo intollerabili.

Nel tragitto verso un ristorante di ripiego ho fatto questa riflessione: il lifestyle vegan per tante persone e' dettato da una spinta empatica emotiva piu' che da una razionale consapevolezza etica, che trova validazioni ideologiche da piu' parti e viene accolto a braccia aperte dall'establishment e dal mercato, che si apre a sempre piu' roboanti offerte di prodotti targettizzati per queste persone, in barba all'etica, alla sostenibilita' e di conseguenza alla coerenza.

Trovo paradossale (ma allo stesso tempo non mi stupisce) che ci sia un cosi' forte collegamento tra questo stile di vita e di alimentazione con stili di produzione tutt'altro che etici come la produzione biologica (non sostenibile), la produzione a Km. 0 (inquinante, non sostenibile e penalizzante per i paesi produttori piu' poveri) e biodinamica (per me al limite della circonvenzione d'incapace).

Senza contare l'OGM-free che ormai la sinistra borghese italiana ha elevato a dogma che viene messo in discussione solo da fascisti e gente pagata dalle multinazionali. Persone piu' competenti di me hanno smontato pezzo per pezzo queste strategie di marketing cosi' come il loro presunto impatto positivo sull'ecosistema e sulla salute. Spesso anzi, ha un impatto decisamente negativo come ad esempio sulla resa delle varie tecniche di coltura, che hanno come conseguenza la necessita' di maggiori terreni coltivabili (deforestazione) e possono far aumentare i prezzi (che ha impatti devastanti sulle economie dei paesi poveri).

Chiaramente possiamo individuare tutti facilmente i punti di contatto tra questi fenomeni commerciali e il veganismo: la maggior parte dei vegani ha un concetto di alimentazione salutare ed etica distorta, non consapevole, ideologizzata e mancante di contatto con la realta' e questa "ignoranza" lascia spazio di penetrazione a tutti quei prodotto commerciali che fanno leva su questa visione parziale delle realta' produttive, a cui non corrisponde pero' un impatto etico concreto ma esclusivamente un appagamento individuale del proprio senso del giusto.

Quello che piuttosto mi stupisce e' che all'interno di un movimento cosi' ampio, le frange piu' razionali, istruite e consapevoli, i cui appartenenti son stati gli unici a non farmi trovare totalmente insensata la loro causa, non spingano per un cambiamento. O forse no, non mi stupisce perche' conquistare quelli come me potrebbe allontanare molti crociati piu' proni ad un fanatismo irrazionale, che nel grande schema delle cose forse sono piu' importanti di una persona titubante perche' dotata di un minimo di senso critico.
Simone Robutti


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Fonte: La Difficolta' Di Diventare Un Vegano Etico (di Medium)
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