Noti ai molti come la band che meglio ha raccolto e interpretato l'eredita' intellettuale, morale ed attitudinale dei compianti Nerorgasmo, gli Havoc, torinesi anch'essi, tornano sulla scena ad 8 anni dal loro ultimo lavoro, l'album d'esordio omonimo del 2004. A tal proposito come non citare, a prova dell'evidente parallelo tra la storica formazione torinese dei primi anni '80 e gli Havoc, l'eloquente indizio che risiede nella cover di "Passione Nera", che possiamo, appunto, trovare nel penultimo disco, brillante e sorprendentemente vicina alla versione originale; ed e' con lo stesso spirito mostrato in Havoc che riprendono il loro percorso da dove si erano fermati, con la formazione in parte stravolta. Alla chitarra vi troviamo, nell'attuale line-up, Brizio, ex Frammenti, alle pelli, invece, Tino, ex C.O.V., ex-ultimissimi-Indigesti, ed Uncles, insieme a Mungo dei Declino e Orlando dei Negazione (e scusate se e' poco...). Insomma un (ritrovato) gruppone che fonde vecchia e nuova scuola, incrociando ed amalgamando venti dalla provenienza piu' disparata, ispirati ad il meglio dei primi e degli ultimi anni dell'hardcore punk italico.
Come Si Deve Vivere Se Non Si Vuole Morire e' composto da 13 tracce in formato digipack, ed e' stato co-prodotto dalla Tanto di Cappello Records.
E' un album corposo, uno di quelli che segue fedelmente un filo conduttore per tutta la sua durata, mantenendo il ritmi veloci e serrati, le ambientazioni tetre e lugubre, i suoni cupi, ossessivi e soffocanti, i testi esistenziali, ermetici, quasi claustrofobici; i quali, talvolta, spingono a provare la sensazione di rimanere intrappolati, per tutta la durata dell'ascolto, nel malessere insito nelle liriche scritte dal cantante Luca: nocive, pungenti, provocatorie, riflessive, autodistruttive e mai innocue. Perfettamente gli strumenti si coagulano con quest'esplosione emotiva causata dalla negativita' nelle parole dei brani, e fortemente le assecondano producendo suoni atti a manifestare con le note il malessere sopracitato, creando un'atmosfera adeguatamente torbida e nefasta. Trovano spazio, e in maniera quasi del tutto inedita in confronto al disco precedente, riff di chitarra aperti a soluzioni autonome rispetto alla totalita' della composizione di alcuni brani; e' il caso, ad esempio, della prima track "Respiro", che immediatamente esordisce presentandoci la buona prova del nuovo chitarrista, e ci immerge da subito nel classico scenario fosco creato dalle sonorita' proprie degli Havoc.
La seguente "A Mosca Cieca" si apre con un vertiginoso giro di basso e propone, tra gli intrecci dei tre strumenti e la chitarra stridente che si distacca dal complesso, un momento di pausa e decelerazione del tempo infuriato e rapido, sapientemente suonato; il tutto non puo' che essere condito dalla lirica aspra, in perfetta sintonia col resto ("Faccio io le regole del gioco e mi trascino verso un nuovo fallimento piu' volte scongiurato, ma lo sai e' inevitabile, un destino inesorabile, faccio io le regole del gioco tutta l'energia per un nuovo salto nel buio!").
Immancabili, come anche accadeva nel vecchio lavoro, numerose citazioni a film e tant'altro, come in "In Nessun Luogo", dove si sente nominare l'opera del filosofo Arthur Schopenhauer: Il Mondo Come Volonta' E Rappresentazione" ( non saprei dire bene la registrazione da quale pellicola e' tratta), o in "Nel Cerchio", in cui ad aprire le danze e' l'inquietante e celebre filastrocca che cantano i bambini mentre giocano (in cerchio? per l'appunto..) in "M - Il Mostro Di Dusseldorf", ed anche il testo riprende il clima di tensione del lungometraggio per trattare tematiche esistenziali e viscerali ("E ti gira tutto intorno qui nel grande girotondo, dovresti annientare tutti i pensieri per esaudire i tuoi desideri e far valer la tua saggezza oltre l'amara certezza" [...] "un giro intorno a un cerchio che si stringe, giorno dopo giorno; una vita frantumarsi contro un destino gia' segnato, uno spirito rinchiuso nel tempo ed ormai sotterrato, hai scelto di restare qui nel tuo girone dannato").
In "Morire" viene esternato il senso del titolo che porta l'album e, credo, di un po' tutto il lavoro e della poetica degli Havoc, accompagnato dagli strumenti che si rincorrono tra loro e tessono la trama repentina e colerica, ossessiva e ripetitiva nella sezione finale ("Come si puo' vivere stretti forte a tutto cio' che sembra essere l'unica cosa di cui non puoi piu' fare senza, come si puo' essere rinchiusi nella paura in una realta' gia' sepolta, molto piu' sicura. Come si puo' vivere in modo che tutto non possa finire, come si deve vivere se non si vuol morire. Morire.").
Chiude "Epilogo", ancora con parole tormentate e angosciose, che lascia, inaspettatamente, uno spiraglio di luce aperto su tutt'altre musiche, piu' fresche e leggere, su di un'impostazione ritmica variata rispetto a quella a cui ci hanno abituato fin'ora, che attesta l'interesse del gruppo verso la sperimentazione e lascia un sapore in bocca meno amaro rispetto a quello che ci si poteva aspettare di ritrovarsi alla fine dell'ascolto dell'album, se si pensa ai pezzi precedenti.
Anche la dichiarazione del cantante Luca, contenuta nell'intervista fattagli dalla Tanto di Cappello Records e pubblicata sulle nostre pagine qualche mese fa, afferma che il brano e', non una breve parentesi, ma il manifesto dell'intenzione di lasciarsi andare ad una nuova ondata di ispirazione proveniente dal chitarrista Brizio, sconvolgendo i livelli compositivi consolidati e costruiti attentamente dalla band in questi anni e aprendosi a nuove possibili prospettive future. Visto, inoltre, che dicono di avere gia' altri 4, 5 brani in cantiere sulla stessa linea d'onda e di non voler far passare piu' cosi' tanto tempo fra un album e l'altro, non possiamo fare altro che aspettare che, percorrendo nuovi orizzonti, ci stupiscano ancora.
hyena01

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