Eravamo li per la Bologna del rock e del punk che ci gridava nelle orecchie ormai da qualche anno, attraverso i dischi degli Skiantos, dei Gaznevada, dei Raf Punk e dei Nabat. Eravamo stati al Disco d'Oro e alle case occupate di via Galliera, all'Attack Punk e alla sala giochi sotto le due torri, dove adesso c'e' la Feltrinelli. Avevamo sedici anni.
Ora ero tornato per stabilirmici, almeno per qualche anno, da solo. Ero l'unico del mio gruppetto ad aver scelto Bologna per continuare gli studi. Era la fine del 1988. Camminavo tanto, per imparare a muovermi nella mia nuova citta', e guardavo tanto i muri. Leggevo le scritte, interpretavo i disegni, cercavo delle tracce.
Ricordo al mio arrivo i sotto portici delle vie del centro tappezzati di manifesti dei Disciplinatha, ad esempio.

I manifesti avevano la grafica e gli slogan tetri ed imperiali del ventennio fascista ed erano attacchinati in maniera massiccia ricoprendo i muri per metri e metri. Quasi mi viene un colpo sul momento. Poi osservando meglio ho capito. Geniale, si prendeva la provocazione dei CCCP con l'uso dell'estetica sovietica e la si girava a destra. Cosi' tutto l'immaginario nostalgico era sparato in faccia ai distratti che ne restavano spiazzati.

Quello che a Bologna era impensabile solo Bologna lo poteva produrre.
Il disco dei Disciplinatha lo produceva la Multimedia Attack, Il collettivo casa/discografica erede della prima etichetta anarco punk bolognese, la Attak Punk. In quei giorni avevano appena ceduto i diritti dei primi dischi dei CCCP ad una major e reinvestivano tutti i profitti in decine di progetti pazzi e creativi. Dall'hiphop avanguardistico dei Devastatin' Posse alla sexual-disco di D.Ablo, dal solido metal core dei Raw Power al etilico punk rock dei pionieri Tampax.

L'etichetta aveva sede in un negozietto di via Lame e io via Lame la facevo ogni giorno, avanti e indietro piu' di una volta, era sul cammino per la grande multisala dove si tenevano le oceaniche lezioni del primo anno.

Una mattina a lato dei portici di quella via centrale, tutto sommato elegante, giacevano i resti fumanti di una Citroen Dyane bruciata durante la notte. Li' per li' ho solo registrato l'evento senza dargli nessun particolare significato, ho pensato alla Dyane color sabbia di Luca che, primo tra i miei amici trevisani ad avere una macchina ci scarrozzava finalmente ai concerti e ai locali dove mettevano rock fuori citta'.
Nei giorni successivi pero' i giornali parlavano ancora di quella Dyane e di un gruppo politico che ne rivendicava il rogo. Le Ronde Pirogene Antidemocratiche, un gruppo neonazista che si riprometteva di rendere la vita difficile a chi non poteva permettersi autovetture a livello con il benessere della borghesia professionale del centro di Bologna.

Nella citta' dell'Autonomia Operaia, degli Skiantos, di Umberto Eco, dove la cultura alternativa arrivava a scherzare con i simboli del ventennio ci poteva pure stare che qualche studente situazionista del DAMS arrivasse a rovesciare tutti i simboli creando un gruppo militante clandestino che per provocazione porti la guerra al proletariato da proletario, secondo le speranze dei padroni, secondo l'insegnamento del anti-super eroe creato da Max Bunker, Superciuck, lo spazzino alcolizzato che rubava ai poveri per dare ai ricchi.

Invece no, ho scoperto poi, questi erano neonazisti veri e facevano sul serio. Le indagini arriveranno ad individuare un nucleo di almeno quattro persone legate tra l'altro ad un associazione di yoga un po' sui generis, Ananda Marga e provenienti dagli ambienti dell'estrema destra. Uno di loro spuntera' fuori anche nelle indagini su Ludwig, la setta neonazista di serial killer che partendo da Verona lascera' sul campo 28 vittime, tutte inermi e scelte a caso.

Vale appena la pena di notare che neanche dieci anni prima tre giovanissimi neonazisti con altissime coperture avevano fatto saltare per aria la stazione di Bologna provocando ottanta vittime.

Le Ronde Pirogene Antidemocratiche si limiteranno a bruciare 120 vetture venendo individuate ed arrestate dopo qualche mese di attivita'.

Ben altro livello di violenza conoscera' la citta' di li' a poco grazie sempre ad assassini di simpatie neo-naziste. La banda della Uno Bianca composta da poliziotti della questura di Bologna lascera' a sua volta sul selciato decine di morti in citta' e nelle provincie limitrofe sparando su campi nomadi, lavoratori e inermi cittadini in quegli stessi mesi. Per l'esattezza 24 morti e 102 feriti.

Ad aggiungere sangue al sangue due anni dopo il mio arrivo un aereo militare in esercitazione colpira' in pieno una scuola superiore della periferia, piena di ragazzi. Succede una mattina mentre attendo l'appello per un esame alla facolta', le sirene di tutta la citta' impazziscono. Dodici le vittime, ottantotto i feriti, tutti ragazzi e insegnanti della scuola. Il pilota aveva gia' abbandonato il velivolo quando le cose si sono messe male.

Non ci si annoiava davvero a quei tempi a Bologna, violenza a parte. Il livello culturale era altissimo su tutti i fronti e per me, giovanissimo fuori sede provinciale era un po' come stare nel paese dei balocchi.

Seguendo i portici potevo raggiungere ogni tipo di locale, dalle mille biblioteche, aule, sale proiezione, mense e aule studio della zona universitaria o sparse per la citta' alle tantissime occupazioni, piu' o meno sociali.

E poi c'erano i parchi, in centro, in periferia e in collina. Montagnola, Guasto, Giardini Margherita, Villa Chigi, Cavaioni, Johns Hopkins, dove seguire da vicino l'alternarsi delle stagioni, i colori dell'autunno, i rigori, dell'inverno, i profumi della primavera e le calure dell'estate, in solitudine o in compagnia, sempre con pochi altri impegni oltre a quello di crescere, osservare, imparare.

Solo poche settimane dopo aver trovato i muri delle vie completamente ricoperti dai poster dei Disciplinatha e' comparsa una nuova sequela di poster neri, da cui gridava una specie di medusa scheletrica, a tappezzare i sottoportici.

Annunciavano l'arrivo degli SNFU, la potentissima banda hardcore canadese, alla nuova occupazione nata in una piazzetta a lato di via Indipendenza, in pieno centro citta' l'Isola nel Kantiere.

L'Isola nel Kantiere si e' presa la maggior parte della mia attenzione nei pochi anni della sua esistenza. Non poteva essere diversamente per me che a Bologna inseguivo soprattutto la musica, quella alternativa in particolare, l'hardcore punk nello specifico. In anni in cui la mia scena sembrava condannata ad essere dimenticata e soppiantata da altre tendenze, a Bologna quello che ne restava irrompeva nel cantiere abbandonato dell'Arena del Sole, il teatro del centro, e lo trasformava in uno spazio che riecheggiava esperienze precedenti vissute nelle migliori citta' europee, mettendo in connessione centinaia di ragazzi provenienti da mille posti diversi e metteva in scena una sequenza infinita di iniziative multicolore dove trovavano posto tutti quelli che credevano nella possibilita' dell'espressione popolare, gratuita, radicale ed esistenziale.

A guardare con distacco le serate dell'Isola il primo paragone che mi poteva venire alla mente era quello del bar di Guerre Stellari, dove si incontrano mutanti, extraterrestri e freak di ogni tipo e provenienza, mischiandosi con naturalezza ma non con indifferenza, lasciando che dalle rispettive energie sprizzino scintille incandescenti ad incendiare animi gia' surriscaldati.

All'ingresso potevi trovare capannelli composti da un energumeno con la maschera da hockey perennemente calata, microscopiche squatter bandanate, un punk con un piccione morto attaccato alla schiena del chiodo insieme a scheletrici rednek baffuti, era solo l'aspetto folcloristico, divertente e liberatorio, ma l'aria che si respirava all'interno sapeva di autentica rivoluzione. Rivoluzione individuale, l'unica riservata alla mia generazione.

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Fonte: Le Strade E I Muri Di Bologna (di La Frontiera)
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