E no, non parliamo di un semplice "punk movie", questo e' molto, ma molto di piu'.

"Based on a true story": quando leggiamo questa frase prima dell'inizio di un film, sappiamo gia' bene o male dove si andra' a parare, quanto le suddette parole possano essere sfruttate per attrarre piu' spettatori incuriositi dalla presunta verita' messa in scena, salvo poi rivelarsi promesse vane nella maggior parte dei casi.

Cosa aspettarsi quindi da un film che si presenta con una locandina cupa e intrigante, ma anche decisamente tamarra, e con la frase incriminata stampata a lettere cubitali prima del titolo?

Ebbene, presto detto: questo film e' un capolavoro, l'ennesimo grande parto di un certo cinema indipendente americano, quello di denuncia, e il risultato dell'opera di un regista, Jameson Brooks (che si firma Jamie), al suo primo lungometraggio, che prima di tutto narra una storia di cui si sente protagonista, provenendo proprio da Amarillo, in Texas, paese in cui la storia reale e il film prendono vita e si intrecciano in un legame di vita e ricordi.

1997, Amarillo, Texas: Brian Deneke e' un giovane punk amante dello skateboard e della musica, che insieme al fratello skinhead Jason e agli amici King, Oles, Rome e la sua ragazza Jade, frequenta e cerca di mantenere in vita un circolo punk organizzando concerti e feste. Brian scrive testi anche per la sua band, i White Slave Traders, beve e fa graffiti, ma odia il fumo e soprattutto contribuisce alla creazione di falsi cartelli stradali che andranno a costituire le installazioni artistiche del "Dynamite Museum" di Stanley Marsh 3.

Cody Cates (chiamato cosi' nel film, il nome reale sarebbe Dustin Camp) invece e' un promettente giocatore di football, piu' giovane di Brian, un ragazzo per bene, animato da valori cristiani (americani s'intende...), con un futuro "normale" gia' scritto. Vorrebbe essere un leader, ma non ne ha il carisma e cosi' si limita a seguire il suo gruppo, formato da altri giocatori di football, partecipando alle loro azioni e alle feste che lo fanno sentire uno di loro.

Quello che hanno in comune Brian e Cody, oltre all'essere quasi coetanei, e' la provenienza sociale, entrambi vengono dalla middle class americana, e l'amore delle rispettive famiglie; un amore diverso pero' per certi aspetti: iperprotettivo e opportunista quello dei genitori di Cody, che difenderanno il figlio oltre l'evidenza per non intaccare il buon nome della famiglia, libero e allo stesso tempo premuroso quello dei genitori di Brian, persone semplici che lasciano sempre la porta aperta ai figli e alla loro compagnia per offrire un pezzo di pane e una parola buona quando ne hanno bisogno.

Le due compagnie, punks e jocks, si scontrano quotidianamente su ogni aspetto della vita, sullo sfondo di Amarillo, la bomb city del titolo, rinominata cosi' per il fatto di essere una citta' adibita allo smaltimento di scorie nucleari e per la produzione all'"Amarillo Air Force Base-Strategic Air Command" di armi nucleari e componenti per gli aerei da guerra B-52 Stratofortress al tempo della guerra fredda. I jocks, gli atleti, rappresentano la normalita' americana, una componente sociale non solo accettata, ma anche rispettata e venerata dalla comunita', che costituisce la maggioranza delle sottoculture giovanili in questo film (ma la realta' non e' molto lontana: per farsi un'idea sul ruolo che il football ricopre all'interno della societa' americana consiglio il documentario shock "The Hunting Ground"); i punk invece sono un gruppo piccolissimo che si conta sulle dita di una mano, ma fiero e determinato nelle proprie convinzioni.

L'intelligenza del film (e del regista) sta nel non mostrare apertamente una contrapposizione buoni-cattivi tra le due fazioni, anche se la presa di posizione e' da subito chiarissima, ma si delinea col tempo sempre meglio. Sia i punk che i jocks commettono delle azioni giuste e altre sbagliate, animati certamente da intenzioni diverse, ma nessun personaggio e' presentato e sviluppato come un santo, ognuno ha dei difetti. La differenza emerge nel momento in cui i ragazzi hanno a che fare con le forze dell'ordine e questo e' uno dei tanti motivi che causano rabbia allo spettatore: vedere la differenza di trattamento che i poliziotti riservano ai due gruppi e confrontare i motivi per cui questi ultimi vengono ripresi e "puniti" e' disarmante.

Brian e' il protagonista del film ed effettivamente e' un personaggio puro, mosso da buoni propositi, corretto con tutti e con un'idea di vita precisa in mente, che viene approfondito con pochi dettagli, su tutti la musica dei Filth (storico gruppo hc punk californiano), ma tutti determinanti nel farci entrare sempre piu' in empatia con lui e con il suo modo di essere, dall'amicizia all'amore, sempre con quella luce negli occhi - e proprio Sunshine era il soprannome di Brian, qui pero' viene chiamato spesso da King con un significativo "Crass" (quanto vorrei essere chiamato io cosi'!) - carica di speranza e soprattutto di vita.

E proprio alla vita di Brian ci sentiamo legati, cantiamo con lui e facciamo skate nella notte pensando a come racimolare piu' soldi per non mollare una catapecchia fatiscente, simbolo di un sogno lontano dall'American Dream, ma soprattutto simbolo della nostra casa.

Quindi all'avvicinarsi del finale, nell'ultima tragica mezz'ora di film, i nostri nervi iniziano a tendersi perche' presumono l'arrivo di una minaccia, di un qualcosa di negativo, ma mai quello che effettivamente succedera', che fara' incontrare tragicamente per la prima e ultima volta le vite di Brian e Cody. E per lo spettatore saranno minuti di sconvolgimento emotivo che termineranno con un'indicibile amarezza e "con le lacrime agli occhi e il cuore in gola", pesante come un macigno.

Parliamo della realizzazione del film e di cosa lo rende speciale: Jameson Brooks confeziona un omaggio sincero e diretto a Brian Deneke e alla sua famiglia, schierandosi dalla parte di chi nel '97 visse i fatti di Amarillo dalla parte lesa, quindi narra le vicende con occhio imparziale, ma col dito puntato verso chi all'epoca si rese colpevole di aver ucciso una vita due volte e ancora oggi resta impunito.

Non si tratta di politica, di ideali anarchici (sebbene presenti) o di musica punk, qui si parla di societa', si mette in discussione il sistema giudiziario-penale americano con i suoi perversi meccanismi e la comunita' di un paese controverso come il Texas, per ridare giustizia a una famiglia straziata e umiliata dalle leggi che governano la propria liberta'.

Brooks mostra chiaramente la contrapposizione tra jocks e punks sia grazie all'estetica fatta di tute da ginnastica e capelli perfettamente pettinati da una parte e chiodi, anfibi, borchie e creste dall'altra, sia grazie alla musica, con una soundtrack eccezionale - Subhumans, Total Chaos, Blatz, Blanks 77 e Young Zillion tra gli altri - che usa punk hardcore e gangsta rap, unendo il tutto con sonorita' ambient che mantengono la tensione costante per tutta la durata del film. Ed ecco quindi un altro merito del regista: la capacita' di far presagire da subito la tragedia che incombera' sul finale, grazie alla musica e ai silenzi, e soprattutto riprendendo spesso i primi piani degli attori, che sebbene quasi tutti alle prime armi riescono ad essere incredibilmente comunicativi grazie ad un singolo sguardo.

Parlando di musica, un accenno ai gia' citati Filth, che con il loro "Destroy Everything", che Brian sfoggia fieramente come simbolo sul proprio chiodo, verranno strumentalizzati a tal punto dalla giuria che valutera' il caso, da ritenerli, assieme al vestiario di Brian, un vero e proprio "strumento di guerra"! Sarebbe da citare Alex DeLarge: "Non ha mai fatto male a nessuno! Ha solo scritto musica"!

Una regia che si muove tra flashback e flashforward, disorientando all'inizio lo spettatore, che trovera' la spiegazione di questi salti temporali nel finale; una scelta, questa, coraggiosa ma perfetta per creare coinvolgimento emotivo e mantenere l'attenzione di chi guarda. Dalla violenza nelle strade alla violenza nei tribunali!

In conclusione, ritengo questo un film da vedere assolutamente a prescindere dai gusti cinematografici, coinvolgente anche per chi frequenta abitualmente queste pagine alla ricerca dell'estremo (avrete pane per i vostri denti, credetemi). Per me e' stato un viaggio emotivo intenso e inaspettato, sia perche' certe tematiche mi toccano davvero da vicino e mi riportano ad episodi di vita vissuta, sia perche' tutto cio' che ruota intorno alla storia reale e a questo film, dall'estetica agli ideali, dalla musica all'amore, dalla discriminazione alle diverse realta' sociali, mi incuriosisce ed e' parte del mio essere. Questa pellicola entra di diritto tra le piu' belle ed intense che abbia mai visto e spero che cio' che ho scritto riesca a coinvolgere in un qualche modo anche voi che leggerete queste parole e vi spingera' a vedere "Bomb City". Un film che rispetta cio' che promette.

A Brian Deneke sono state dedicate moltissime canzoni da parte di numerosi gruppi punk e non solo. Tra queste mi piace ricordare "Tears On A Pillow (in Amarillo)" degli Undead e "Fortunes of War" dei Dropkick Murphys.

P.S. Penso che la lettura di questo articolo sia perfetta se accompagnata dalle canzoni che ho messo qui e li', tutte legate al film. Vi invito a cercare i testi se volete leggerli.
Alex Cavani

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Fonte: Bomb City - [2017] Jameson Brooks (di Shiva Produzioni)
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IMDB Bomb City: https://www.imdb.com/title/tt4351548/
IMDB Jameson Brooks: https://www.imdb.com/name/nm5399468/