I ghiacciai si sciolgono e qualcuno ostenta la propria violenta noncuranza facendoci sopra un aperitivo, mentre agli altri non resta che un vago rancore in se' impotente come tutto cio' che si limita a reagire. Per quaranta anni la politica italiana ha dimostrato di essere null'altro che la manifestazione di una forza reattiva, debole, incapace di alcunche': non servono dati ne' grafici, la verita' autoevidente di questa affermazione e' scritta nel cuore di ogni persona sotto i cinquanta anni che ha avuto la sfortuna di vivere in questo paese. La disperazione in questo caso e' una tautologia, scritta sui corpi di molte e di molti. Queste parole sono quindi un'apologia dell'astensione, politica in primis, ma soprattutto esistenziale.
La complessita' e' il nostro labirinto. L'informazione prolifera come un virus, orientarsi e' impossibile; l'unica differenza e' data dal riuscire ad affermare la parvenza di un senso paranoico o dal lasciarsi andare alla sua assenza piu' desolante. La crisi costitutiva della contemporaneita' porta naturalmente alla richiesta di soluzioni facili: la ricerca di qualcuno che possa salvarci o in alternativa dispensarci dal pensare. Cerchiamo protezione, rassicurazione, allontanando da noi ogni presa sulla realta' che ci circonda. Piu' si parla di clima, meno si agisce, se non per esigere che chi e' nelle posizioni di comando lo faccia al posto nostro.
La vita della maggior parte delle persone e' un incubo che si alterna fra lo spettro dell'indigenza e il burnout, mente guerre e pandemie saturano lo spazio del pensabile. E' un'eterna ripetizione dell'identico, che a differenza del monito nietzschiano, non e' parte di una scelta, di una forza attiva che decide per se' ma rappresenta invece la lenta fine di chi e' stanco anche al pensiero di morire. Siamo all'inferno? Continueremo a fare questo fino alla morte? Si chiedono i personaggi di Patricia Lockwood nel romanzo Nessuno ne parla, e lo stesso si chiedono le italiane e gli italiani quando si ritrovano chiusi in trappola con Enrico Letta, Giorgia Meloni e le alleanze da 3%.
Ma c'e' una terza via: farla finita. Non con la vita tout court, ma con la vita che e' non e' stata scelta, con le false speranze, con le scelte consolatorie, con la paura di morire e l'ansia di sopravvivere. Una fine che e' in realta' un inizio dai molti nomi: diserzione secondo Bifo, destituzione per gli amici del Comitato Invisibile, ma anche undercommons o addirittura venuta del Regno. Alla base c'e' un porsi al margine, lavoro nero e dell'ombra, che permetta di ripartire dal desiderio piu' semplice e immediato: quello di essere felici. Semplicemente, l'urgenza di vivere una vita degna passa in primo piano, riconfigura lo sguardo e le modalita' di relazione. La ricerca non passa piu' dal delegare esternamente, la volonta' non muore piu' di inedia; l'orizzonte prende la forma di una comunita' organizzata che condivide i mezzi e le capacita' di usarli verso il bene collettivo.
Homo homini lupus e' una menzogna, un concetto che ci permette di dare un senso a turni di lavoro massacranti e condizioni di vita umilianti; fuori dalla societa' neoliberale che il potere occidentale ha costruito esiste un'autonomia possibile. I governi di tutto il mondo si trovano a un bivio: convincere la popolazione del bisogno di restare nei recinti mentre allo stesso tempo operano una selezione volta a decidere chi potra' sopravvivere alla catastrofe ambientale, alle guerre e alle pandemie. Non e' una distopia, e' la realta' in pieno svolgimento. Ma attenzione, fare secessione, rompere il recinto, destituire non vuol dire isolarsi in qualche comunita' montana mangiando semi e radici, rincorrendo cosi' il mito romantico ma poco efficace dell'anarcoprimitivismo, ne' abbandonare i luoghi e le persone che li vivono.
Al contrario, farla finita vuol dire ricominciare a credere che la vita di ognuna e di ognuno possa essere altro dal circolo infinito di merce, consumo e sfruttamento. La differenza fondamentale e' che tale credenza non deriva, a cascata, dalla grande idea, dal grande piano, dalla somma strategia volta a costituirsi come potere alternativo a quello vigente, ma nasce spontanea dalla banale e al contempo abissale consapevolezza che semplicemente, cosi' non si puo' piu' andare avanti.
I would prefer not to. Preferirei di no. La formula della creazione, impersonata dal rifiuto di Bartleby, protagonista di uno dei racconti di Herman Melville, illustra perfettamente questo concetto. Bartleby e' uno scrivano, un segretario, un sottoposto. Lavora in uno studio di avvocatura, nel quale l'avvocato fa la parte del padrone gentiluomo. All'inizio del racconto, Bartleby lo scrivano si rifiuta di adempiere a una richiesta fattagli dal padrone. "I would prefer not to", "preferirei di no", risponde. Non e' una sfida ne' una rivolta, non vi e' una domanda, non ci sono richieste: Bartleby, semplicemente, preferisce di no, preferisce non fare cio' che gli e' stato chiesto; la sua intera umanita' si concentra e si esplicita nell'istante in cui si rifiuta di essere cio' che non e', di fare cio' che non vuole.
Da li' in poi e' un attimo: l'avvocato continua a fare richieste sempre piu' accomodanti, cerca di imbonire Bartleby, di convincerlo, motivarlo e a suo modo anche aiutarlo. Ma Bartleby e' un fiume che scorre e afferma la propria volonta': no e' la risposta, preferirei di no, e cosi' fino all'assurda conclusione del racconto. L'avvocato perde il proprio principio di realta', non gli rimane nulla sul quale fare leva, sul quale stabilire un senso logico che e' innanzitutto una forma di potere e di dominio. Uno dei concetti chiave alla base di cio' che viene chiamato potere destituente e' questo farsi da parte, questo rifiutare lo scontro diretto con il potere costituito: il rifiuto di combattere sul campo scelto dall'avversario.
Destituire, in termini pratici, vuol dire togliersi dall'equazione che ci vede da sempre perdenti, fuggire da questa rappresentazione nefasta che determina a priori la sfera del possibile. Vuol dire decidere finalmente che non serve un'alternativa gia' pronta all'incubo del capitalismo neoliberale, ma che possiamo trovare la forza di cercarla strada facendo, che possiamo creare spazi di autonomia, liberta' e mutuo appoggio che minino gradualmente le fondamenta del sistema di potere vigente, senza esporci direttamente alla sua furia, in due parole: fuggire combattendo. Possiamo togliere le nostre vite dal piatto, riappropriarcene, dando al nostro rifiuto la forma di un'alternativa percorribile.
Scrive Bifo che la diserzione dal territorio simbolico dell'ordine costituito agisce come creazione di una dimensione simbolica autonoma che puo' darsi regole, puo' difendersi e puo' proliferare. Il potere che cerchiamo e' il potere di trattenere l'energia, di non dissiparla su cio' che non puo' essere cambiato.
Le elezioni del prossimo 25 Settembre proporranno ancora una volta la stessa scelta illusoria, lo stesso gioco truccato. In Italia l'astensione e' ormai il primo partito; eppure, c'e' ancora chi si ostina a leggere questo dato con la miope supponenza di sapere meglio degli altri qual e' la cosa migliore per tutti. Sarebbe bello sapere da queste persone come giustificano il punto a cui siamo arrivati, come giustificano la svendita del mercato del lavoro, delle persone migranti e delle comunita' LGBTQ+, dei diritti civili e sociali in generale. Forse abbiamo vissuto gli ultimi quarant'anni governati dalla destra senza nemmeno accorgercene? Chissa'.
Sempre Bifo, di recente ha scritto "Disertare e' la lotta che ci aspetta. Disertare la guerra, prima di tutto. Disertare la guerra che divampa e divampera' sempre piu' largamente, perche' quando il nazionalismo contagia la mente collettiva la guerra si prepara in ogni nicchia. Disertare il lavoro salariato che tanto non serve piu' per sopravvivere, ma serve ad alimentare una crescita che devasta il pianeta e arricchisce solo una piccola minoranza. Disertare il consumo di tutte quelle sostanze che, come la plastica, devastano l'ambiente e la mente. Alimentare comunita' indipendenti che abbandonano il pianeta in fiamme (per andare dove? A questo ci penseremo). Disertare la politica, arte inutile incapace di comprendere, e di governare." La domanda sorge spontanea: nella realta' di tutti i giorni, nella pratica della vita quotidiana, che fare?
Come ritrovare un potere capace di sostenere i nostri desideri, libero dalla catena dell'impotente risentimento? Una domanda simile e' stata gia' posta molto tempo fa: nel passo dell'hss me (1Cor 7, 29-31) San Paolo risponde a chi gli chiede quando verra' il giorno del Signore: Dio verra' come un ladro nella notte. Kafka, nei quaderni, aggiunge: il Messia verra' soltanto quando non ci sara' piu' bisogno di lui, arrivera' solo un giorno dopo il proprio arrivo, non arrivera' all'ultimo giorno, ma dopo l'ultimo. E nel frattempo, che fare?
E' sempre San Paolo a rispondere: vivere come se non. Il cristiano delle origini sa che non puo' aspettare che Dio compia la trasformazione al suo posto e che deve vigilare, essere presente e consapevole, ma allo stesso tempo sa che il potere temporale non e' nulla se non un'ombra che non puo' raggiungerlo. Vive come se non esistesse, in base ad altri principi e altre significazioni; rifiuta il mondo cosi' com'e' e orienta ogni giorno la sua vita in altre direzioni. "Se aveste tanta fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo monte: passa da qui a la', e passerebbe, e niente vi sarebbe impossibile" (Mt 17,20).
Costruire da subito, qui e ora, altre modalita' di relazione fra noi e tutte le persone umane e non umane che ci circondano, usando la potenza riguadagnata per credere che sia possibile farlo fino in fondo. Non c'e' niente di piu' concreto, quotidiano. Non c'e' altro da fare. Tutto cio' che e' fondato sul perdurare della realta' di cui abbiamo esperienza, con le sue regole e i suoi criteri non puo' davvero toccarci, se non lo vogliamo, scriveva Sergio Quinzio. Lavorare attivamente non alla campagna elettorale di qualche partito ma alla costruzione di cio' di cui abbiamo bisogno collettivamente per smettere di sopravvivere e cominciare finalmente a vivere. Condividere risorse, saperi, emozioni. Trovarsi, incontrarsi, parlarsi non per fare teorica politica delle bolle intellettuali ma per risolvere, concretamente i problemi che ci affliggono e ci impediscono di vivere come potremmo.
Non e' impossibile, in tante parti del mondo sta gia' accadendo, e' gia' accaduto e accadra' ancora. La scelta e' se credere, ancora una volta, alle menzogne della democrazia al soldo del capitalismo neoliberale, espressione di un'oligarchia gerontocratica, reazionaria e vendicativa, o se credere che sia possibile preferire di no.
"Una moltitudine di persone, spazi e infrastrutture preparano il terreno dove territori, forti e autonomi, prendono forma. C'e' tutto, per tutti. La terra e' spartita per uso comune. La tecnologia non ha piu' segreti: tutto puo' essere uno strumento, qualsiasi cosa un'arma. Linee di rifornimento autonome rompono la morsa economica. Reti collaborative si occupano di comunicazione immediata, connettendo coloro che sentono il bisogno di costruire una vita altra. Mentre i governi cadono, i territori autonomi fioriscono col nuovo sentimento che, per essere liberi, dobbiamo legarci a questo pianeta e alla vita che ci circonda. Abbiamo davanti una scelta: l'inferno o l'utopia? Entrambe le risposte ci soddisfano. Infine, raggiungiamo il ciglio - sentiamo il pericolo della liberta', il calore del vivere insieme, il miracoloso e l'ignoto - e sappiamo: questa e' vita"
Tiziano Cancelli
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Fonte: Apologia Dell'Astensione (di Not)
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