"Lo studente, lo studente, li', fuori, ha detto che noi entriamo qui dentro di giorno, quando e'... e' buio. E usciamo di sera, quando e' buio. Ma che vita e' la nostra? Questo, pro forma. Allora io dico, gia' che ci siamo, perche' non lo raddoppiamo questo cottimo? Eh? Cosi' lavoriamo anche la Domenica. Magari veniamo qui dentro anche di notte... Anzi: magari portiamo dentro anche i bambini, le donne... I bambini li sbattiamo sotto a lavorare, le donne ci sbattono a noi un panino in bocca e noi via che andiamo avanti senza staccare. Avanti, avanti, avanti... avanti, per queste quattro lire vigliacche, fino alla morte. E, cosi', da questo inferno, sempre senza staccare, passiamo direttamente a quell'altro inferno!"
Parafrasando questo incipit tratto dal film La Classe Operaia Va In Paradiso di Elio Petri del 1971, capiamo come essenzialmente non siano cambiate le cose seppur siano passate tre generazioni sociali, anzi se vogliamo affondare il coltello nella piaga propabilmente la situazione sociale di ora non ha avuto replicanti, in quanto sempre di piu' il lavoro nelle fabbriche e' sottopagato ed opprime l'uomo di vita, di pulsazioni emotive, si vive annichiliti nel forno quantistico dell'attesa del nuovo giorno, nell'attesa di un alba in cui l'uomo si possa sentire libero da quelle catene che lo opprimono e gli tolgono il fiato e il colore alla vita, invece ogni giorno ci alziamo con l'odore di piombo e di fiele, di sentimenti asettici e di giorni in cui ciondoliamo come carcasse umane in cerca del nostro piccolo tempo perduto. Magari nella massa fumosa di giorni tutti uguali e ristretti in gabbia come topi dentro una scatola di vetro, riuscissimo a rompere tutto cio' che ci annienta. Magari gia' riscontrarlo, dandogli un nome e cognome, lottando per i valori, per noi stessi, per un umanita' schiacciata dagli anfibi dei palazzi di vetro, dei secondini nelle carceri.
Contro la frustrazione dell'uomo sotto la macchina, del capitalismo che schiaccia il proletariato e chi arranca ogni giorno.
In questo stato assiderato di vita, vi e' qualcosa che lo puo' scuotere, se aprissimo gli occhi, e la bocca, se non ci facessimo abbattere dalla paura di esternare un dissenso, di manifestare il proprio "inferno".
Attraverso un microfono, pistola fumante piu' di un AK-47, solo non abbassando la testa, potremo, forse liberarci da catene invisibili manovrate attraverso mani sporche e infangate della sete di potere del politico dietro una scrivania, che con risate blasfeme, ci incastra la vita e gli toglie la linfa. Attraverso tutte queste parole si incastrano a perfezione su cio' che smuove questo disco.
Il progetto dei Culto Del Cargo nasce nel 2010, l'etimologia del nome della band si riconduce ad un culto chiliasmo, apparso tra comunita' aborigene della Melanesia, e Micronesia che dopo l'incontro tra aborigeni e popoli occidentali, il quali avevano un ruolo di consegnare beni primari agli aborigeni, fossero in realta' stati consegnati da un ente divino, da dei in carne ed ossa.
Il loro stile proposto e' un irruente concentrato di brutale crust-grind, sporcato di venature d-beat, dove il rumore cruento, sporco e violento si abbatte sull'ascoltatore come un detrito cadesse dentro ai nostri occhi e tra polvere, sangue riportasse a vita qualcosa che sinora era fermo, silente, morto. Memorie In Lingua Morta, autoprodotto da loro stessi, e' stato registrato, mixato e masterizzato presso La Distilleria, layout e grafiche curate da Culto Del Cargo, di impostazione diy nel vero senso del termine.
Questo album e' un sasso lanciato ad un intensa potenza e velocita' addosso all'ascoltatore. Una carica di brutale e furioso rumore di salsa crust-grind, forte di una scrittura di qualita' che porta alla luce concetti e denuncia di questa societa' che vive di mercificazione della vita, sotto il potente peso del capitalismo distruttore di vite e di liberta', rumore che implode nelle linee dure, distruttive e cavernose di basso e chitarra, attraverso la veemenza delle sferzate vorticose delle linee batteristiche per poi fondersi nel devasto sonoro trasportati dalla voce, che piena di rabbia, gutturale, e funesta, scaraventa l'ascoltatore per terra con le ginocchia spezzate e il fiato corto, ma con una percezione piu' nitida e diagnostica di cio' che si parla.
L'album si apre con "Nella Sicurezza Di Un Nuovo Medioevo", linee batteristiche aprono il brano e si scontrano con le linee di basso e chitarra in un traboccante rumore che incontra la voce che, gutturale, roca che si allinea al rumore compatto che torce lo stomaco. Una spremuta di brutalita' che si incolonna ad una scrittura peculiare e di impatto che fraziona i pensieri e si fa notare in tutta questa nube-grind rabbiosa e aspra.
"Autopsia Sul Cadavere Del Capitalismo", il brano si apre attraverso linee brutali, arrabbiate che abbattono ogni aspettativa, la voce imponente e vorticosa si mangia letteralmente tutto cio' che trova per strada e ci strappa il cuore. Crust che vive di linee strumentali che intercedono ed implodono in un vortice brutale, feroce e diagnostico.
"L'Uomo Senza Desideri", riff di chitarra aprono il brano, convergono in linee di basso e sferzate chirurgiche della batteria che vengono fracassate dalla voce che, cruda e furente, avvolge tutto il rumore in una vibrante pulsazione amniotica.
"Il Boia Perfetto", questo brano e' gia' stato pubblicato precedentemente, e' presente nella compilation Asfissia-Compilation Ardecore Benefit - A Sostegno Di Radio Blackout. Si aprono riff profondi di chitarra e basso che si concatenano alle flagellate batteristiche che assieme alla voce vagabondano e si aprono componendo un suono irreversibile e dissacrante che ha il saper di un concentrato di crust-grind di crudezza vivida.
"Massa Contro Il Muro", forte di una scrittura che non fa sconti a nessuno ma riesce ad entrare dentro la testa e a coinvolgere su il complesso argomento dell'attacco ai soprusi sul mondo del lavoro, alienante e dissipatore di vita, un aspra denuncia in salsa crust-grind. Il brano riesce a esplodere di tutta la rabbia, violenza, e frustrazione che il concetto in se' porta avanti, contro ogni annichilimento di ogni essere umano, e contro il capitalismo in tutto e per tutto. Brano a tratti corale, dove le linee di basso - batteria - chitarra viaggiano a ritmi inviolabili allineati alla voce. Da citare un incipit immesso nel brano tratto dal film di Elio Petri del 1971, (La Classe Operaia Va In Paradiso), che infonde al brano allineandosi il senso di critica verso il lavoro sottopagato, delle fabbriche. Che distrugge la vita, la liberta' umana, e vive di oppressione silente.
"Come In Un Gioco Di Specchi", linee batteristiche aprono il brano unendosi alle linee di basso e chitarra in un brano dall'appeal cruento dove anche l'uso della doppia voce da al brano quell'interfaccia brutale e animoso. Il brano viaggia concomitante e diagnostico, vive di cambi di tempo, e intercede nelle vene come il fluire di un fluido dentro noi.
"Il Futile Indispensabile", la batteria imponente e linee di basso florido, aprono questo brano, brutale, crudo e simbiotico che attraverso linee cruente e spasmodiche rendono il loro crust molto d'effetto e indiavolato.
"Muri Piu' Alti", brano precedente pubblicato nella compilation Non un Sasso Indietro Vol.II. Siamo di fronte ad un crust-d-beat veloce e crudo come la lama di una sega nella carne, che irrompe e sfigura la testa e le nostre percezioni, kla voce porta dietro se le linee strumentali come una guida verso i propri cari. "L'Urlo Del Fango", linee di chitarra-basso-batteria intercedono turbinose conformandosi alla voce che, come un pugno nello stomaco lo buca, e deflagra rabbia e rivalsa. Un atto di furente reazione del nostro se'. Rabbia al servizio di grind servito su un tavolo d'acciaio.
"Moto Uniformemente Accelerato", linee di chitarra si ampliano in linee di basso che vengono recise dalla brutalita' della voce che come un grosso bulldozer spazza via ogni cosa davanti a se', voce cavernosa che muore in un rumore brutalmente sincronizzato a se' che come in un altalena furente e rabida ti avvolge come all'interno di una vertiginosa botola brutale e purificatoria. "Ultima Panoramica Mondiale", riff di chitarra, basso si immettono in linee facocitate di batteria che unendosi alla voce che e' un esplosione e profonda di fulminea caratura, comprimono il respiro dentro l'addome come uno schiacciassassi ti travolge senza pieta'. Grind-crust al servizio di una scrittura virulenta ed onesta.
Conclude l'album "Il Delirio Rende Liberi", percorrendo velocemente, vibrante e sincronizzato. Presenta le linee strumentali caratterizzare lo scheletro del brano che vengono sbalestrate dalla voce che, feroce, le affossa come un terremoto dirotti la vita fino ad un punto di non ritorno.
In conclusione, sicuramente Memorie In Lingua Morta, e' un album che non chiede il permesso di entrare, non bussa alla porta, ci entra dirompente, scontrandosi con la societa' di ora che falsata e blasonata vive di argomenti blandi e superficiali, questo album e' un chiavistello che neutralizza ogni falsita', ogni oppressione umana. Un album dove e' possibile perdere il proprio controllo, trovarsi spezzati Ma sentirsi liberi senza catene imposte dalla societa' e dal tempo.
Per i cultori del genere crust, e' l'album da avere ad occhi chiusi. Crudo, ruvido, aspro.
Un piccolo gioiello di deflagrante crust-grind che vi sconvolgera' le vostre sinapsi ed i pensieri.
Cito i brani "Massa Contro Il muro", "Muri Piu' Alti", "L'Urlo Del Fango", "Come In Un Gioco Di Specchi", rappresentano per me la vera essenza dell'album. Consiglio agli ascoltatori di Domesticrust, Skulld, Disforia di non perdersi assolutamente questo disco.
Ms_Antrophy

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