L'antifascismo era dunque un fronte ampio e la "costituzione piu' bella del mondo" nasce da li'. Il problema vero, forse, e' che le destre italiane tutt’ora non si riconoscono appieno nei valori costituzionali. Tutto nasce da li'. Quei valori che nascono proprio dalla lotta al nazifascismo. In tv e sui giornali e' sempre la stessa solfa. La differenza tra liberta' e Liberazione. Le testimonianze di chi c'era, per forza di cose sempre piu' rare. L'indifferenza. Il revisionismo. E' difficile raccontare la Festa della Liberazione. Sempre di piu', e lo sara' sempre di piu'. Proviamo a partire dalle basi, che altro non sono se non i fondamenti del nostro vivere civile. Il 25 Aprile non e' un'opinione, e' l'anniversario della Liberazione d'Italia, e' la festa nazionale della Repubblica Italiana che celebra espressamente la fine dell'occupazione nazista e del regime fascista. E' storia.
Non e' quindi la festa di una vaga generica "liberta'" slegata dalla giustizia sociale, come qualche distratto (siamo gentili) politico di centrodestra - e pure qualcuno del principale partito di centrosinistra - ciclicamente prova a raccontare. Non ci sarebbe stata liberta' viva, fondante, in Italia senza Liberazione, senza quel senso di affrancamento dal fascismo e dalla guerra che ne e' conseguita. Non diciamo nulla di nuovo. Scriviamo ogni anno lo stesso articolo, piu' o meno. Ma il 25 Aprile e' il mito fondativo della Repubblica italiana. Non e' folklore, e' memoria. Anno dopo anno, purtroppo, sembra quasi che la memoria sia piu' fragile, e che si festeggi con uno schema sempre piu' assurdo, da "par condicio", dove alle celebrazioni non viene mai fatta mancare una feroce critica alle stesse, ispirandosi sempre piu', come notava qualche anno fa Roberto Rossini, ex Presidente nazionale delle Acli (Associazioni Cristiane Lavoratori Italiani, non certo un pericoloso estremista) "all'indifferentismo, come se il 25 Aprile non ricordasse alcunche' di particolare". E quindi vai con le bandiere dell'Unione europea in piazza, quest'anno con quelle della Nato. Cosa c'entrano con il 25 Aprile 1945? Nulla. Giorgio Bocca, partigiano, diceva spesso a Michele Serra che "la meta' degli italiani e' fascista". Forse non e' piu' vero, forse ormai meta' degli italiani semplicemente "non e' antifascista": un problema ugualmente grave. Trent'anni fa solo la destra estrema e inguardabile attaccava questa giornata: ora e' in buona (si fa per dire) compagnia. Ci sono sindaci di centrodestra che nel 2022 negano la piazza all'Anpi, perche' trattasi di "festa divisiva". E poi si mettono sullo stesso piano nazifascisti e partigiani, perche' "bisogna ricordare i caduti di tutte le nazioni", secondo il messaggio agli studenti del provveditore regionale delle Marche.
L'unica divisione che il 25 Aprile fa - intrinsecamente - e' tra fascisti e antifascisti. Tertium non datur. Definirsi antifascisti e dirsi italiani e' la stessa cosa. Il fascismo e' una, anzi e' "la" vergogna indelebile nella nostra storia. C’e' chi attacca la Festa della Liberazione e la lotta partigiana con ogni pretesto. Replicare e infilarsi dentro alle polemiche significherebbe fare il gioco di chi considera la Festa della Liberazione una ricorrenza come tante, su cui dire la propria opinione a sproposito, su cui scrivere un dimenticabile post su Twitter o Facebook per raccattare qualche decina di like in una bolla social irrilevante, in modo da legare sagacemente una giornata dal significato chiarissimo al commento dell'attualita' a tutti i costi. Ma il 25 Aprile non e' nemmeno una ricorrenza: e' un fatto, e' storia, e non c'e' bisogno di frasi altisonanti.
Abbiamo, tra l'altro, la possibilita' di accedere a documenti vivi, brucianti, limpidi di coloro che, 77 anni fa, di fronte alla morte, non hanno recitato la parte dell'eroe o del superuomo, ma hanno espresso la pacata esigenza di una coscienza morale, la certezza di aver fatto il proprio dovere: e' questo il modo migliore per avvicinarsi alla Resistenza. Cinquant'anni fa il Comune di Torino regalava agli studenti di terza media, che terminavano allora a quell'eta' la scuola dell'obbligo, una copia (una pregevole edizione Einaudi) delle "Lettere di condannati a morte della Resistenza italiana". Condannati spesso giovani, giovanissimi, che andavano incontro alla morte nella primavera del 1945. Immaginate le polemiche - non solo provenienti dalla destra piu' retriva, sia chiaro - se accadesse oggi qualcosa del genere. Forse non un solo partito presente oggi in parlamento approverebbe senza riserve la lettura di un volume simile per studenti di 13 anni. Gia' immagino le obiezioni: "Troppo duro", "andrebbe spiegato il contesto", "manca un altro punto di vista" ecc.ecc.
Certo, e' difficile parlare della Resistenza ai giovani d'oggi. E' qualcosa di vecchio, di antico per i nati nel nuovo millennio. Un film con le immagini sgranate e in bianco e nero. La soluzione piu' intelligente e' lasciar parlare - almeno il 25 Aprile - quelle donne e quegli uomini che, prima di trovare la morte, lasciarono un ultimo pensiero. Le lettere sono consultabili gratuitamente. Sono affilate e senza filtri. Scaraventano il passato nella nostra quotidianita' con la forza e la nitidezza che solo la parola scritta puo' avere. Leggerle, e spendere cosi' qualche minuto nel giorno della Liberazione, e' una buona idea. "Quando sarai grande capirai meglio, ti chiedo una cosa sola: studia", scriveva Paola Garelli, partigiana, in una lettera alla figlia, poco prima di essere fucilata da un plotone fascista. Aveva 28 anni.
Andrea Maggiolo
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Fonte: 25 Aprile: "Ti Chiedo Una Cosa Sola, Studia" (di Today)
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