Entrati in pista con un promo nel 2009; si sono fatti conoscere ed apprezzare con il primo lavoro ufficiale Indotto A Camminare; li abbiamo potuti cogliere in pienezza con il secondo Triste Opera Itinerante: tornano, finalmente, gli Attrito con L'Attimo Del Dubbio. Da non sottovalutare anche i due split, il primo con i conterranei Congegno ed il secondo, piu' recente, con i Lyon Estates, in cui si sono misurati con gruppi altrettanto in auge nella scena italiana odierna, con ottimi risultati.
Diventati, ormai, uno dei gruppi di punta della scena nostrana, con all'attivo dal 2009 ad oggi numerosissimi live e scorribande in lungo e in largo per la penisola, gli Attrito provengono da quella tradizione musicale ed attitudinale che definisce la rinomata Trento Hc. Rinomata in quanto dal passato ai giorni nostri molteplici sono stati i gruppi degni di nota sfornati dalle fauci della citta'; Grandine e Congegno sono solo un paio di esempi per descrivere una mentalita' ed un modo di fare e vivere la musica che ha fatto e continua a fare scuola, da Trento per giungere fino alla punta dello stivale e cosi' via. "No, non e' soltanto musica!" cantavano i Grandine in Sole Nero Hc ed, ancora, si continua su quella scia.
Decisamente piu' diretti e coincisi, maturati, in parte, tecnicamente ma tantissimo nei contenuti, come sempre criptici, ermetici e profondi nella forma del linguaggio. Malessere che ti invade e non lascia spazio ad altro, permeato di nausea e disgusto; parole scavano dentro, affilate e a doppio taglio, riff brucianti e sezione ritmica pronta ad esplodere da un momento all'altro: armati per colpire l'ascoltatore giusto dritto in faccia.
Sono dei cecchini. In cinque anni e tanta esperienza accumulata, aggiunta alla gavetta che gia' avevano alle spalle prima di dare vita a questo progetto (Grandine, Resist, Koroba Milk, Incline, St1ven S1gal), gli Attrito hanno avuto modo di cristallizzare le idee, affinare il metodo, limare, ragionare, sperimentare; riuscendo a chiudere i giochi e portarsi a casa la "chiave" per scrivere un buon pezzo hardcore alla nostra e vecchia maniera, porgendo all'ascoltatore un risultato ben rifinito e senza sbavature. Anche a livello di qualita' di registrazione, si deve dire. Eppure nell'immancabile fretta del caotico tupatupa trovano il tempo di mirare accuratamente e puntare dritti al punto di ogni questione, precisi e circospetti come non mai; dettagliatamente legano pensieri controversi a strati attorcigliati di suoni feroci e d'impatto. Il ritmo corre rapido eppure il tempo si arresta per regalare ancora alla voce lo spazio necessario per declamare forti e chiari quei pensieri di vita, oppressione, tormento, liberta'.
Come di consuetudine la giusta interpretazione dei contenuti viene lasciata alla libera decodificazione avuta per mezzo dell'esperienza d'esistenza di ogni singolo fruitore. Sin dalla prima "Polvere" frasi metaforiche si susseguono snocciolando i significati profondi contenuti in ogni singolo brano: "Quelle Mura" parla di quel mostro parte integrante della societa' chiamato carcere; alternati a velocissime sfuriate, riff ripetuti in maniera ciclica ci ricordano la barbara esistenza di luoghi dove il tempo e' dettato da chiavistelli, sbarre, attimi concessi e negati e cosi' via, in una dimensione di eterno circolo ("amico, non ti ho mai visto // ma le tue urla mi raccontano tutto di te // forse quelle mura // sono anche attorno a me // ascoltami, dobbiamo bruciare queste gabbie // quando riapriro' gli occhi sara' tutto finito?").
Personalmente li ringrazio di cuore per avermi ricordato di una poesia della portata di "Come In Una Notte D'Inverno" di Heinrich Heine, testo magistrale dell'800 ma di una tremenda attualita', che fa prendere corpo ad uno dei migliori brani dell'album intero, in cui momenti rallentati dalla batteria martellante ed i riff ben cadenzati sottolineano il ripetersi delle frasi piu' significative del brano ("si ode distintamente // il continuo montare delle ricchezze dei ricchi // di tanto in tanto si mescola a questo sordo scrosciare // qualche singhiozzo emesso a bassa voce // e' il singhiozzo dell'indigenza").
Si distacca di molto dal mucchio "L'Incubo Della Quiete", un ossessivo gioco di doppie voci (con voce femminile di Federica dei roveretani Ludd) inquietanti coronate dagli altrettanto corrosivi accordi di chitarra; si riprende il tema piu' volte trattato nel disco della perdita di individualita' voluta dai grandi, la rinuncia alla bellezza dell'unicita' del singolo a favore di una piu' rassicurante ma aberrante spersonalizzazione della massa ("abbandoniamo ogni modello // e finalmente rivolgiamoci a noi stessi // e finalmente io ti vedo"). Mi posso anche fermare qui, credo di essermi gia' dilungata abbastanza, come si sa il gruppone e' di un certo livello e di conseguenza ispira sempre tante belle parole e c'e' davvero molto da dire. Non tutti i gruppi riescono ad attirare tanta attenzione, sovrastare di almeno una spanna gli attuali standard del genere e strappare larghi consensi e grande affezione in una buona fetta dei cultori dell'hardcore punk italiano nel giro di soli di 5 anni; questo e' un merito che, qualunque possa essere il parere soggettivo su quest'ultimo lavoro, deve essere attribuito ad occhi chiusi agli Attrito. Sta di fatto che quello che abbiamo di fronte oggi, L'Attimo Del Dubbio, e' senza alcun dubbio un disco della madonna. Poco da discutere, poco da obbiettare.
Gli Attrito sono tornati, tutti a casa. La TNHC spacca ancora i culi, amen.
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