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La teoria della relatività si fonda su un semplice ed essenziale concetto: non esiste un unico tempo assoluto ma ogni essere umano ha una personale visione che dipende da dove si trova in un preciso istante ed in base al flusso che lo travolgerà.
Il tempo amplia la prospettiva con l'avvicinarsi di qualcosa che in velocità temporale sta già correndo verso di noi. Come se la massa e l'energia si unissero in una cosa sola - una manifestazione inconscia e subconscia di qualcosa che ci apparterrà ed a cui apparterremo in eterno.
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L'identità della nostra transitoria pena - ci getta nel nostro infido destino - come detriti nella troposfera delle nostre insicurezze. Vive di quei rimasugli - lasciati a marcire come uova scadute sotto l'asfalto di un Lunedì senza luna.
Così aridi e deformi, chiusi e riluttanti a qualsiasi apertura verso l'altro - vediamo la realtà esterna come una spada di Damocle pronta a prenderci l'ultimo respiro, l'ultima riserva essenziale di vita.
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Sotto le unghie, sotto la pelle, tutto ciò che respiriamo viene edulcorato dall'asfalto bruciato delle menzogne avariate delle quali ci nutriamo credendo cibo pregiato. Nell'oro placcato delle nausee del giorno che nasce, dell'ennesimo forno umanitario dello scontro inutile. Del vuoto dentro gli occhi scavati, dei figli che assaporano la morte gelata - dei propri padri caduti sotto il vile denaro.
Cosa rimane quando il bagliore si spegne, quando il respiro si azzera, quando tutto per quello in cui hai creduto e lottato cade nell'indissolubile oblio? Un cazzo.
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- Categoria: Interviste
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Nello squarcio marcio di un estate torrida tra il vociare delle cicale e la puzza di piombo che opprime l'ossigeno. In perenne caduta tra l'oblio ed una rassegnazione socio-politica: la collettività viene messa a dura prova nell'espropriamento degli spazi pubblici, nell'esortazione malevola del corollario dei mass media.
Ma nell'acciaio delle strade, ai margini della provincia - è evidente che di rassegnazione non ne vuole sentir parlare.
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La chiave di lettura dei tempi moderni - qualora qualcuno la cercasse in fondo alla matassa di merda esistenziale generazionale, sorseggiando un gin tonic nella parafrasi di questo periodo storico. La troverebbe guardando a fondo nei margini della società - nei vuoti suburbani della quotidianità, nei bicchieri vuoti, nel vuoto cosmico attuale edulcorato dalla metastasi sociale.
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Scrivere è sempre stata la valvola di sfogo sulla quale ho sempre potuto contare, sia che si trattasse di eventi che hanno inciso "sotto la pelle", che di musica, che di merda respirata.
Son sempre stata una dilettante di carta pesta che non si è mai sentita parte di un sistema che sgomitava per farsi notare - alzare la voce per me equivaleva ad un eccessiva dimostranza di sé che non mi ha mai colpito.
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Fermi tutti! prima di parlare dei Michael Khill una doverosa premessa va fatta sulla scelta del geniale nome della band del modenese.
Tale nome nasce infatti dalla storpiature di Michael Hill, ma chi è costui? Semplicemente un uomo che nel 1998 viene pugnalato al cervello con un coltello di circa 20 cm, creando di fatto il guinness dei primati per "Gli oggetti più grandi rimossi dal teschio umano".
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